Il Vangelo di Marco

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L’anno liturgico B è accompagnato dalla lettura festiva del vangelo di Marco. Ne offriamo una breve presentazione.

Gesù non ha lasciato nessuno scritto e nemmeno ha preso alcuna iniziativa per garantire una riproduzione letteraria dei suoi discorsi. Hanno scritto invece alcuni suoi seguaci, e nemmeno subito dopo i fatti, ma a distanza di qualche decennio. Subito dopo i fatti (cioè dopo la morte-risurrezione di Gesù) si è invece formato il Vangelo orale (dall'anno 30 al 70 circa); solo in seguito si formarono anche i Vangeli scritti (tra il 70 e il 100 circa).

In pratica dalla morte di Gesù alla redazione definitiva dei vangeli passano una quarantina d'anni, ma non sono quarant'anni di vuoto: sono anni di intensa attività della comunità cristiana, di predicazione, di celebrazioni liturgiche, di prime raccolte scritte dei "detti" principali di Gesù, delle parabole, dei miracoli. Da tutto questo materiale, gli evangelisti hanno poi attinto per comporre i Vangeli. Questa trasmissione orale e scritta, va sotto il nome di Tradizione.

Il periodo di composizione dei Vangeli è compreso tra il 40-50 e il 70 d.C. per i Vangeli di Matteo, Marco e Luca, e tra il 90-100 d.C. per quello di Giovanni.
I primi tre Vangeli sono detti "Sinottici", da un termine greco (sjn = "insieme" + òpsis = "vista", cioè "lettura unitaria") che indica la possibilità di "leggerli insieme" tante sono le analogie e tanti sono i parallelismi.
Il Vangelo di Giovanni, scritto al di fuori della Palestina, si scosta invece dai primi tre, in quanto, pur narrando gli stessi episodi, li considera in modo diverso.
Gli atti degli Apostoli vennero scritti da Luca tra il 73 e l'80 secondo alcuni studiosi, tra il 90 e il 100 secondo altri.

Alla base dei Vangeli sta la predicazione degli Apostoli, come spiega la Costituzione dogmatica del Concilio Vaticano "Dei Verbum" n. 19: "Gli Apostoli, dopo l'Ascensione del Signore, hanno trasmesso ai loro ascoltatori ciò che Egli aveva detto e fatto, con quella più completa intelligenza di cui essi, ammaestrati dagli eventi gloriosi di Cristo e illuminati dallo spirito di verità, godevano. E gli autori sacri hanno scritto i quattro Vangeli, scegliendo alcune cose fra le molte che venivano tramandate a voce o anche per iscritto, sintetizzandone alcune, spiegandone altre in rapporto alla situazione delle chiese, conservando, infine, il carattere di annuncio, sempre però in modo tale da riferire su Gesù con sincerità e verità".

Dunque nei Vangeli troviamo sia quello che Gesù ha detto e fatto, sia quello che gli Apostoli alla luce della Sua risurrezione e della Pentecoste hanno trasmesso, sia, infine, il lavoro di redazione compiuto dagli evangelisti che, secondo la situazione delle varie comunità cristiane, sceglievano all'interno dell'annuncio, gli elementi che ritenevano più utili alla diffusione della fede, senza però alterare il messaggio di Cristo. Quindi i Vangeli:
  • non sono una biografia o ricostruzione storica di Gesù, intesa in senso moderno, anche se essi contengono molti dati biografici storicamente inoppugnabili;
  • non sono una sintesi logica e sistematica delle verità e dei precetti insegnati da Gesù (com'è, per esempio, il Corano di Maometto nella religione musulmana);
  • non sonoquattro versioni radicalmente diverse dello stesso evento, ma nemmeno sono versioni del tutto simili e ripetitive al punto da essere intercambiabili o unificate in un testo unico;
  • non sono una registrazione diretta e immediata dei fatti al momento in cui questi accadevano, anche se gli evangelisti sono più o meno testimoni diretti dei fatti o perché apostoli (è il caso di Matteo e Giovanni), o perché discepoli vicini agli apostoli (è il caso di Marco e Luca).
La prima preoccupazione dei Vangeli è quella di offrire una visione completa di Gesù: è la totalità della figura di Cristo che viene comunicata e non tanto i singoli aspetti (Gesù uomo, Gesù profeta, Gesù Dio ...). Chi si accosta ai Vangeli deve tenere conto di questo obiettivo religioso per entrare in sintonia con i testi evangelici.

Pur avendo un preciso valore storico i Vangeli sono resoconti scritti alla luce della fede, tuttavia sono fedeli, rispettosi dell'originario insegnamento di Cristo. Manca, tuttavia, nei Vangeli la preoccupazione di fissare tutto e subito per iscritto quanto ha fatto o detto Gesù ("ipsissima verba Jesu").

Matteo e Giovanni furono apostoli del Signore e diretti testimoni di quanto poi riferirono nei loro Vangeli.
Marco non fu apostolo, ma fu «compagno di Paolo» e «interprete di Pietro»: soprattutto dalla predicazione di quest'ultimo raccolse i dati storici per stendere il suo Vangelo.
Luca afferma in apertura del suo Vangelo di essersi premunito di cercare notizie fondate e di aver raccolto scritti e resoconti che altri avevano steso prima di lui.


La lingua

Tre lingue servirono agli autori ispirati per scrivere i testi originali della S. Scrittura. L'ebraico, l'aramaico e il greco.
  1. L'ebraico è una lingua semitica (dal nome di Sem, figlio di Noè). Era parlato dagli Israeliti fino a qualche secolo dopo l'esilio babilonese, poi fu usato solo nelle preghiere e nelle composizioni letterarie. Risuscitato ed adattato alle esigenze della civiltà moderna, è usato correttamente nello Stato d'Israele.
  2. L'aramaico (da Aram, la regione che poi si chiamò Siria) divenne la lingua comunemente parlata dai Giudei di Palestina al tempo di Gesù. Alcune parole "ebraiche" riportate dai vangeli sono in realtà "aramaiche". Messia, Pascha, Golgotha, Talità cum, ecc...
  3. Il greco fu diffuso in Oriente dalle conquiste di Alessandro Magno (dal 333 al 323 a.C.) e divenne la lingua delle persone colte. La conquista romana non potè sostituire in Oriente il latino al greco, anzi questa lingua greca divenne di uso frequente anche a Roma.
L'Antico Testamento fu scritto per la massima parte in ebraico e fu tradotto in greco nei secoli III e II a. C.. Tale versione è detta dei "Settanta", perché tale sarebbe stato il numero dei traduttori.
Il N.T. fu scritto interamente in greco.

Alla fine del IV secolo, S. Girolamo tradusse l'A.T. in latino direttamente dall'ebraico. Questa nuova Bibbia latina rimase l'unica in uso nella Chiesa occidentale, e si chiamò "Volgata", cioè divulgata, diffusa, di uso comune.
Le prime versioni italiane della Bibbia si fecero sul testo latino. Le più moderne sono tradotte direttamente dai testi originali.



IL VANGELO DI MARCO

La tradizione della Chiesa primitiva è unanime nell'attribuire il secondo vangelo a Marco, il discepolo di Pietro. L'affermazione più antica è quella di Papia di Gerapoli.
Secondo la tradizione, Marco scrisse il suo Vangelo dopo la morte di Pietro (64 d.C.) tra il 65-70 d.C.


Struttura e contenuto

Il Vangelo di Marco è il meno sistematico. Con i suoi 661 versetti, ripartiti in sedici brevi capitoli, è il più corto dei quattro Vangeli; contiene solo 53 versetti che non si ritrovano nei passi paralleli degli altri due sinottici Matteo e Luca. Agli occhi di un lettore frettoloso il vangelo di Marco può sembrare un racconto vivace, fresco e accattivante, che narra della vita di Gesù, però senza un’eccessiva coordinazione fra episodi (si parla infatti di «trama episodica»), dal contenuto relativamente «semplice» e immediatamente fruibile, riguardante alcuni fatti e (pochi) detti di Gesù, culminante nella storia della sua morte e nell’annuncio della risurrezione.

Per comprendere ciò che l’autore del vangelo ha voluto comunicare al lettore è importante situare il suo racconto nel tempo e nella cultura in cui esso è nato, avere qualche idea dei suoi destinatari e riuscire a precisare i valori e le finalità dell’autore. È inoltre determinante conoscere le modalità espressive adottate e il loro funzionamento. Infine, poiché secondo la fede della Chiesa si tratta di un libro canonico, ispirato quindi da Dio, per il lettore credente è fondamentale leggerlo nello stesso Spirito che ha sostenuto e condotto la sua produzione, nella stessa fede della comunità che lo ha generato e a cui è destinato, all’interno di quella stessa comunità che è ora in continuità con quella originaria del vangelo.

Dopo il preludio, costituito dalla predicazione di Giovanni Battista, dal battesimo di Gesù e dalle tentazioni nel deserto (Mc. 1, 1-13), ci sono alcune rare indicazioni che ci aiutano a discernere un periodo di ministero in Galilea (Mc. 1, 14 -7,23); poi i viaggi di Gesù con gli apostoli nella regione di Tiro e Sidone, nella Decapoli, nella regione di Cesarea di Filippo, con il ritorno in Galilea (Mc. 7,24 -9,50); infine un'ultima salita verso Gerusalemme per la passione e la risurrezione (Mc 10,1 - 16,8).

Queste grandi linee di Marco tracciano una evoluzione che merita di essere ritenuta storica e teologica: Gesù all'inizio è ricevuto dalla folla con simpatia, poi il suo messianismo umile e spirituale delude la loro attesa e l'entusiasmo si raffredda. Allora Gesù si allontana dalla Galilea per dedicarsi alla formazione del piccolo gruppo dei discepoli fedeli, dai quali ottiene l'adesione incondizionata con la confessione di Cesarea.

Si tratta di una svolta decisiva, a partire dalla quale tutto si orienta verso Gerusalemme, dove si consuma il dramma della passione, coronato infine dalla risposta vittoriosa di Dio: la risurrezione.

E', quindi, il paradosso di Gesù, incompreso e respinto dagli uomini ma inviato ed esaltato da Dio, che interessa soprattutto il Vangelo di Marco, il quale si preoccupa meno di sviluppare l'insegnamento del Maestro e riferisce poco le sue parole. Il suo tema essenziale è la manifestazione del Messia crocifisso.


Teologia di Marco

Benché avvolto nell'alone di Pietro, il Vangelo di Marco - considerato dagli studiosi come il primo dei quattro a livello cronologico - non godette nei secoli cristiani di grande popolarità, sovrastato come fu da quello di Matteo. La liturgia non lo utilizzava e i commentari antichi sono rari. Forse si deve attribuire ciò al fatto che quasi tutti gli episodi narrati da Marco si trovano già in Matteo e Luca, e che Marco non riferisce quasi nessun discorso di Gesù. Sant’Agostino ha scritto molto sbrigativamente: «Marco ha seguito Matteo abbreviandolo, senza originalità».

Bisognò aspettare la metà del 1800 perché la narrazione di Marco venisse apprezzata. All’inizio, questa valorizzazione non avvenne per meriti teologici o pastorali, ma storici. Gli studiosi storici di formazione positivista cercavano racconti semplici e teologicamente «neutrali», nei quali la realtà storica non fosse coperta dal manto prezioso della fede.

In epoca più recente questo scritto è stato oggetto di grande interesse, perché fu considerato come l'espressione significativa della prima predicazione della Chiesa, indirizzata a cristiani di origine pagana, a coloro, cioè, che erano già avviati a una "iniziazione" del mistero cristiano (i catecumeni), a coloro che avevano già sentito il primo annuncio e avevano già avuto il primo slancio della fede, ma che ora dovevano giungere a una più profonda comprensione del mistero di Gesù. Una conoscenza non tanto a livello dottrinale e teologico, quanto a livello di fede e di esistenza.

Marco introduce a un incontro: quello con il Cristo del passato che è anche il Cristo vivo di oggi; ci fa così comunicare col mistero cristiano in ciò che ha di più profondo, per nutrire la nostra fede.

La domanda a cui l'evangelista vuol rispondere nel suo Vangelo è: "Chi è Gesù?". Ma accanto a questa prima domanda e parallela ad essa ve n'è una seconda: "Chi è il discepolo?". Sono due facce del medesimo mistero: la "via" di Gesù è la stessa "via" del discepolo.

Per rispondere a queste due domande (Chi è Gesù? Chi è il discepolo?), c'è innanzitutto da precisare che, nel Vangelo di Marco, la rivelazione progressiva del mistero di Gesù e del discepolo non avviene solo attraverso discorsi progressivi, sempre più espliciti, ma attraverso una storia che, man mano che si vive, si chiarisce: il Vangelo è racconto, dramma, storia, non una dottrina che si apprende, o un catechismo che si impara a memoria. Se si vuol capire, se si vuol leggere dall'interno, bisogna essere coinvolto in quella storia, si deve vivere la sequela, Non c'è posto per l'osservatore neutrale.

Marco non si limita a rivelare poco a poco il mistero cristiano (chi è Gesù?), ma si preoccupa di condurre il lettore a scoprire chi è il discepolo? Così il Vangelo si muove contemporaneamente su due linee: la rivelazione del mistero di Cristo e la manifestazione del cuore dell'uomo. E' il continuo scontro fra questi due aspetti che fa di Marco un vangelo attuale, drammatico e inquietante. L'uomo vede i gesti di Gesù, sente le sue parole, ma resta incredulo. I motivi di questa resistenza vengono dal suo cuore "malato" (Mc. 7, 17-23), che Gesù è venuto a guarire.

Gesù non ha rivelato subito la sua Persona, ha voluto essere un "Messia nascosto". Infatti, a più riprese, nel ritratto che Marco delinea di Gesù, si avverte un senso di penombra: di fronte ai demoni che lo riconoscono Figlio di Dio, di fronte ai miracolati che lo vorrebbero acclamare Messia e Salvatore, Gesù oppone quello che è stato definito "il segreto messianico". In realtà, egli vuole solo progressivamente svelare il mistero della sua Persona e in particolare "la via della croce" come l'unico cammino per raggiungere il suo pieno svelamento. E' sulla croce, infatti, che Gesù va riconosciuto come Messia e Salvatore.

La Crocifissione non è sconfitta, ma il trionfo di Cristo, ne è prova il fatto che Mc. fa terminare il suo Vangelo con la professione di fede di un pagano, il centurione, che riconosce in Gesù il Figlio di Dio, proprio al momento della sua morte. "Veramente quest'uomo era Figlio di Dio". Il Vangelo di Marco si potrebbe chiudere così, difatti egli fa solo un breve cenno alla Risurrezione, parlando del sepolcro vuoto, e il racconto delle apparizioni (Mc. 16,9-20) non è suo: è chiamato, infatti, dagli studiosi "finale canonica di Marco", cioè fa parte delle Scritture ispirate, quindi ritenuta canonica (del Canone biblico), anche se non necessariamente redatta da Marco.

Per Marco il momento del trionfo di Cristo è la Croce, e anche se scrive per i Romani, pagani (la Croce per loro era un scandalo), il discorso è diretto a noi, perché spesso anche noi rifiutiamo la nostra croce ("chi è il discepolo?"), invece di imitare quella del Maestro ("chi è Gesù?").

Marco è convinto che i diversi aspetti della storia di Gesù – miracoli, parole, morte, risurrezione – non vanno semplicemente accostati (quasi bastasse la completezza a farci cogliere il significato che racchiudono), bensì vanno letti e valutati a partire da un centro: la morte e risurrezione. Ecco perché il motivo della passione è introdotto in sordina fin dall’inizio. E’ un invito a leggere il racconto a partire dalla sua conclusione.

Marco insegna che i titoli di Gesù–Messia, Figlio dell’uomo, Figlio di Dio,vanno riempiti di contenuto rapportandoli alla morte–risurrezione: per convincersene basta leggere 8,27–38 (per i titoli Messia e Figlio dell’uomo) e 15,38–39 (per il titolo Figlio di Dio). Se non si facesse così, pensa Marco, si correrebbe il rischio di riprodurre all’interno della stessa comunità cristiana l’equivoco giudaico, cioè una teologia che rifiuta la presenza di Dio in Gesù crocifisso.

Solo adesso possiamo rispondere alle due domande che Marco si propone di dare una risposta nel suo Vangelo:

Chi è Gesù?
E' il Figlio di Dio che rivela tutto il suo amore per l'uomo, morendo in Croce.

Chi è il discepolo?
Colui che, come Cristo, accetta la propria croce, sull'esempio del Maestro, come mezzo di salvezza per se e per gli altri.


 

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