Giovanni Paolo II
un pensiero per ogni giorno di marzo

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1 marzo

 
 Seguendo il pensiero-guida della Quaresima - meditiamo sul tema della coscienza umana che è strettamente legato al tema della libertà dell'uomo. La coscienza sta alla base della dignità interiore dell'uomo e, nello stesso tempo, del suo rapporto con Dio. Rileggiamo la concisa enunciazione sulla coscienza, contenuta nella costituzione «Gaudium et Spes». «Nell'intimo della coscienza l'uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve ubbidire e la cui voce, che lo chiama sempre ad amare e a fare il bene e a fuggire il male…. La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell'uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nell'intimo” (16). Conviene rimeditare queste parole nel periodo della Quasima, che è un tempo particolarmente adatto al risveglio e alla cura delle coscienze. Abbiamo noi un'idea giusta della coscienza? Intendiamo correttamente la sua libertà? Nella vita personale, familiare, sociale ci lasciamo guidare dalla coscienza vera e retta? L'uomo contemporaneo non vive sotto la minaccia di un'eclisse della coscienza? Di una deformazione delle coscienze? Di un intorpidimento, o di un'«anestesia» delle coscienze?  Queste e simili domande conviene porsi nel periodo della Quaresima.
[Angelus, 14 marzo 1982]
 2 marzo

 
«Lode e onore a te, Signore Gesù! / Lode a te, Verbo di Dio!».
Nel periodo di Quaresima ripetiamo, quasi ogni giorno, queste parole nella Santa Messa. Desideriamo in questo modo manifestare la nostra venerazione per la Parola di Dio, che parla a noi con forza particolare in questo periodo. Desideriamo manifestare la prontezza interiore nell'accogliere questa Parola. Che essa venga a noi in tutta la sua verità. Che penetri in profondità nei nostri cuori e nelle nostre coscienze. Che ci illumini. Che ci converta. Che ci liberi.  La Quaresima è sempre stata un periodo di grande catechesi. Nei primi secoli si faceva la catechesi dei catecumeni. Oggi pure essa si fa per coloro che si preparano al Battesimo. Ed è contemporaneamente, la catechesi di tutti i battezzati, perché nel loro Battesimo scoprano sempre di nuovo la potenza della Croce: della morte e della risurrezione di Cristo.
[Angelus, 20 febbraio 1983]
 3 marzo
 
Il tempo di Quaresima ci invita ad un rinnovato cammino di conversione. Il nostro sguardo si volge a Maria, immagine perfetta della Chiesa. In lei infatti contempliamo la creatura dal cuore nuovo, la donna attenta e premurosa, la discepola che sa ascoltare e pregare incessantemente, la Vergine del sacrificio silenzioso.  Maria è la creatura dal «cuore nuovo», annunciato dai profeti. Dio l'aveva promesso: «Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo» (Ez 36,26). La vicenda storica di Maria, a partire dall'immacolato concepimento, si svolse tutta all'ombra dello Spirito; ma soprattutto nell'Annunciazione ricevette dallo Spirito Santo quel «cuore nuovo» che la rese docile a Dio, capace di accogliere il suo progetto di salvezza e di corrispondervi con assoluta fedeltà, per tutta la vita. E' la «Virgo fidelis»: colei che compendia l'antico Israele e prefigura la Chiesa, sposata a Dio per sempre, nella fedeltà e nell'amore (cfr. Os 2,21-22).
Maria è ancora la donna attenta e premurosa alle necessità spirituali e materiali dei fratelli. Il Vangelo ne pone in evidenza la sollecitudine verso l'anziana Elisabetta, il discreto intervento alle nozze di Cana per la gioia di due giovani sposi, l'accoglienza materna del discepolo e di tutti i redenti ai piedi della Croce. Siamo certi che ella dal cielo prolunga ancora verso gli esuli figli di Eva la sua mediazione.
Maria inoltre è discepola che ha incarnato il Vangelo fino al sacrificio e al martirio della «spada» incruenta, che Simeone le aveva predetto nel tempio, congiungendo la sua sorte al sacrificio cruento del Figlio. Davanti alla proposta sconcertante di Dio, ella non dubitò di ripetere ogni giorno il «sì» dell'Annunciazione, perché diventasse
il «sì» della Pasqua, per sé e per tutto il genere umano.
[Angelus, 11 marzo 1984]
 
4 marzo
 
«Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe e predicando la buona novella del regno e curando ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo» (Mt 4,23).
Questo Gesù vogliamo salutare e adorare. Infatti egli è colui che, all'Annunciazione, è stato rivelato alla Vergine di Nazaret, Maria. E' quel Gesù, eterno Figlio di Dio, che per opera dello Spirito Santo è stato concepito nel seno di Maria come uomo, allorché ella, alle parole dell'arcangelo, ha risposto dicendo: «fiat», «così avvenga». «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto» (Lc 1,38). Questo è Gesù di Betlemme e di Nazaret. figlio di Dio e figlio dell'uomo.  Proprio lui, quando è giunto il tempo a ciò preordinato, ha iniziato a predicare la buona novella del regno e a curare «ogni sorta di malattie e di infermità del popolo». Proprio lui vogliamo adorare nell'annuale periodo della Quaresima. Vogliamo invitarlo affinché con la medesima - e insieme sempre nuova - potenza «predichi la buona novella del regno».  Vogliamo pure chiedere da lui i «segni» di questa potenza salvifica che parlino agli uomini della nostra epoca, così come hanno parlato una volta a Israele all'inizio dei tempi nuovi. Vogliamo invitarlo nelle nostre comunità e nelle nostre coscienze. Preghiamo che curi le malattie degli uomini contemporanei: «ogni sorta di malattia» dell'anima. E quante ve ne sono!  Preghiamo che ci aiuti a convertirci, a purificarci, a trasformarci spiritualmente, a rinnovarci. Preghiamo «che il male non ci accolga». Che vinca lui: Gesù di Nazaret, nostro redentore, crocifisso e risorto.
[Angelus, 17 febbraio 1985]
 
5 marzo
 
 «Non di solo pane vive l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio».
La solenne affermazione, che risuona sulle labbra di Cristo tentato dal demonio, ci riporta allo scenario sconfinato del deserto, ove egli si è ritirato, sospinto dallo Spirito, per prepararsi nella preghiera e nel digiuno alla missione che lo attende.  «Non di solo pane vive l'uomo...». E un'affermazione che la liturgia opportunamente ripropone ogni anno nella Quaresima, periodo nel quale siamo invitato a riscoprire i valori essenziali che danno senso al nostro esistere terreno: essi non sono di ordine materiale (il «pane» della tentazione), ma appartengono alla sfera dello spirito, ove ciò che conta è la «parola che esce dalla bocca di Dio». Per percepire questa «parola» e apprezzarne la ricchezza, occorre disporre il proprio cuore ad accoglierla con gioia. Ciò non è possibile se non ci si impegna a pregare e a fare penitenza. Preghiera e penitenza: due termini che possono apparire oggi fuori moda.  E tuttavia resta un dato di fatto, puntualmente confermato dall'esperienza: l'uomo da solo, nonostante il progresso tecnico, che gli consente di dominare la natura, non riesce a dominare se stesso. E' succube dei suoi limiti e delle spinte alienanti dell'ambiente. Ed ecco, allora, la conseguenza paradossale: di fronte a macchine sempre più grandi e complesse, l'uomo finisce per ritrovarsi moralmente sempre più piccolo e meschino, in balia delle forze oscure del suo inconscio o di quelle non meno subdole e potenti della psicologia di massa.
[Angelus, 24 febbraio 1985]
 
6 marzo
 
Per essere restituito alla sua libertà, l'uomo abbisogna innanzitutto di un aiuto dall'alto che ne riordini il mondo interiore, sconvolto dal peccato: tale aiuto lo ottiene pregando. Egli abbisogna, poi, di una volontà forte e decisa, capace di sottrarsi alle suggestioni ingannevoli del male, per orientarsi coraggiosamente sulle strade del bene: e questo suppone l'allenamento generoso alla rinuncia e al sacrificio, suppone cioè il coraggio di far penitenza, per raggiungere quell'autocontrollo che gli consenta di dominare agevolmente se stesso in armonia con la più profonda verità del proprio essere. La Quaresima è specificamente dedicata nell'anno liturgico a questo  impegno  primario del cristiano. Parlando di esso nell'esortazione apostolica «Reconciliatio et Paenitentia» (n. 4), ho sottolineato che, se col termine «penitenza» si vuol indicare prima di tutto il cambiamento di cuore, esso comporta però il cambiamento anche della vita, così che nel «fare penitenza» è necessariamente incluso lo sforzo di «fare degni frutti di penitenza». E ho aggiunto: «fare penitenza è qualcosa di autentico e di efficace soltanto se si traduce in atti e gesti di penitenza».  Accogliamo con animo volenteroso, carissimi fratelli e sorelle, l'opportunità di grazia, il «kairos» di Dio, che è la Quaresima. Ci guiderà in questo cammino di crescita e di maturazione l'esortazione apostolica ora citata, per una breve riflessione negli Angelus delle prossime domeniche sul valore e sul significato della pratica della penitenza. La Vergine Maria, inarrivabile esempio di perfetta sintonia con la propria verità di creatura e col mistero trascendente e amoroso di Dio, ci assista con la sua materna intercessione.
[Angelus, 24 febbraio 1985]
 
7 marzo
 
«Questi è il Figlio mio prediletto; ascoltatelo» (Mc 9,7).
Al compiersi della Trasfigurazione, come già all'atto del Battesimo nelle acque del Giordano, il Padre celeste rende a Gesù la solenne testimonianza: «Questi è il Figlio mio prediletto». Ma qui, sul monte della Trasfigurazione, dove lo contempliamo, Dio Padre aggiunge un comando preciso: «Ascoltatelo». Ascoltare il Figlio di Dio significa innanzitutto accogliere l'imperativo preliminare che, fin dagli inizi del suo ministero pubblico, egli bandisce come proclama dei tempi nuovi: «Convertitevi e credete al Vangelo» (Mc 1,15). Quell'imperativo, carissimi fratelli e sorelle, risuona con toni particolarmente pressanti durante la Quaresima. L'itinerario quaresimale è tutto orientato alla conversione del cuore e cioè a quella trasformazione profonda del modo di pensare e di vivere, che strappa l'uomo agli schemi e alle abitudini mondane per plasmarlo sul modello di Cristo.  La conversione del cuore non può quindi non includere la penitenza. In un certo senso, come ho illustrato nell'esortazione apostolica «Reconciliatio et Paenitentia», essa ne è l'elemento principale, anzi l'elemento costitutivo. «La penitenza significa l'intimo cambiamento del cuore sotto l'influsso della parola di Dio e nella prospettiva del regno», essa è l'impegno a «ristabilire l'equilibrio e l'armonia rotti dal peccato» e quindi a «cambiare direzione anche a costo di sacrificio».
[Angelus, 3 marzo 1985]
 
8 marzo
 
Gli intenti di conversione e di pentimento, per essere autentici e duraturi, devono tradursi in atti concreti di penitenza. Tra ciò che l'uomo è nel proprio intimo e le azioni che costituiscono la trama della sua esistenza, non può non intercorrere una coerenza fedele e limpida. «La penitenza, pertanto, è la conversione che passa dal cuore alle opere e, quindi, all'intera vita del cristiano» («Reconciliatio et Paenitentia», n. 4).  Uno stile di vita sinceramente improntato alla Quaresima dedica
ampio spazio alle opere di penitenza. E' uno stile di austerità, di autodisciplina, di misurate privazioni volte a temprare la volontà. Si comincia con l'accettare in serenità le sofferenze che il vivere quotidiano richiede inevitabilmente come conseguenza della condizione di creature in vario modo limitate. Si arriva a cercare
intenzionalmente le occasioni di penitenza e di mortificazione, nel convincimento sempre più profondo che esse sono fonte di quella spirituale ricchezza che impreziosisce la vita.  Il binomio conversione-penitenza, lealmente vissuto nella sua
duplice dimensione intima ed esteriore, colloca il cristiano sulle orme del Maestro divino che, attraverso la passione, giunge al sepolcro e all'alba pasquale. E' l'itinerario al quale la Quaresima ci chiama. Ci accompagni in esso la materna protezione di Maria santissima.
[Angelus, 3 marzo 1985]
 
9 marzo
 
«Ci hai proposto a rimedio del peccato il digiuno, la preghiera e le opere di carità fraterna».
Così prega la Chiesa nel tempo sacro di Quaresima con un'affermazione che, rivolta a Dio misericordioso, traccia in realtà un itinerario di vita per il cristiano nella prospettiva della Pasqua. E' un itinerario che comprende il digiuno, termine col quale ben si possono intendere tutte le varie forme di privazione volontaria, a cui invita la prassi penitenziale della Chiesa. Il digiuno è conservato in qualche misura anche nella nuova disciplina canonica. Infatti, come ho ribadito nell'esortazione apostolica «Reconciliatio et Paenitentia» (n. 26), «anche se mitigata da qualche tempo, la disciplina penitenziale della Chiesa non può essere abbandonata senza grave nocumento sia per la vita interiore dei cristiani e della comunità ecclesiale, sia per la loro capacità di irradiazione missionaria». Tale disciplina, infatti, costituisce un servizio e uno stimolo alla libertà, che è nobilissima prerogativa dell'uomo, ma prerogativa vulnerabile, che ha bisogno di essere custodita e, in certo senso, sempre conquistata. La fragilità della natura la espone a continui pericoli. Occorre quindi proteggerla con tutti quei mezzi che contribuiscono a un sano e sereno autodominio.
[Angelus, 10 marzo 1985]
 
10 marzo
 
Il vero e implacabile nemico della libertà è il peccato, che sconvolge l'ordine in cui l'uomo è stato creato, scatenando in lui istinti e pulsioni, da cui la volontà resta inevitabilmente influenzata. L'esercizio della penitenza contribuisce a rettificare l'orientamento della mente e del cuore e a rafforzare la capacità della volontà di aderire al bene. Inoltre, per l'azione della grazia, il fedele che s'impegna generosamente nella pratica della penitenza conosce una progressiva immedesimazione con Cristo, che è il vero liberatore dell'uomo. «Dove c'è lo Spirito del Signore c'è libertà» (2Cor 3,17).  Oggi le pratiche penitenziali comandate dalla legge della Chiesa sono talmente limitate, da non esaurire affatto il dovere e il bisogno di ciascuno di fare penitenza. Il più è affidato alla generosa iniziativa di ciascuno. E' necessario perciò che la maturità di coscienza del singolo fedele lo spinga a cercare spontaneamente, anzi di creare nell'ambito della propria libertà le forme e i modi di penitenza conformi alle personali necessità di liberazione dal peccato di purificazione e di perfezionamento. Avvalori questi sforzi la Vergine Maria, essa che liberamente accettò il disegno divino, cui doveva partecipare anche con il cuore trafitto dalla spada del dolore.
[Angelus, 10 marzo 1985]
11 marzo
 
«Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito» (Gv 3,16).
La liturgia della Quaresima invita a perseverare nella pratica della penitenza in preparazione alla Pasqua, nel sublime contesto dell'amore di Dio. Dio, che è amore nell'intimità del suo essere, per amore ha mandato nel mondo il Figlio suo unigenito, perché soffrisse, morisse e risorgesse per noi.  La risposta dell'uomo a questo ineffabile progetto che ha Dio per protagonista, è scolpita nell'assioma su cui poggia la perfezione di tutta la legge: «Ama il Signore Dio tuo; ama il prossimo come te stesso» (Mt 22,37-39). Il cristianesimo è la religione dell'amore. Il cristianesimo è la religione della «socialità», di quella socialità che trova nella parabola del Samaritano il suo paradigma programmatico e vitale, la sua esplicitazione esistenziale più concreta e imperativa: «Va', e fa' anche tu lo stesso» (Lc 10,37). La Quaresima, per la sua intima connessione con la vicenda pasquale dell'Uomo-Dio, è un tempo privilegiato per l'esercizio dell'amore verso il prossimo. Tempo di genuina carità.  Nell'esortazione apostolica «Reconciliatio et Paenitentia», alla quale amo richiamarmi negli appuntamenti domenicali di questa Quaresima, ho sottolineato che la penitenza ha una dimensione sociale. La Chiesa, tra le varie forme penitenziali, ha sempre raccomandato l'elemosina, e la raccomanda ancora quale «mezzo per rendere concreta la carità, condividendo ciò di cui si dispone con colui che soffre le conseguenze della povertà» (n. 26).
[Angelus, 17 marzo 1985]
 
12 marzo
 
La Quaresima, per la sua intima connessione con la vicenda pasquale dell'Uomo-Dio, è un tempo privilegiato per l'esercizio dell'amore verso il prossimo. Tempo di genuina carità. Non è raro trovare nella mentalità contemporanea, marcatamente sensibile ai canoni della giustizia, varie controindicazioni alla carità spicciola. Eppure Gesù assicura che neppure un bicchiere d'acqua, dato nel suo nome, sarà dimenticato nel bilancio della vita (cfr. Mc 9,41). Basta la parola del Maestro a premunire dalle varie insinuazioni dell'egoismo, che vorrebbe indurre il cristiano a chiudere la mano e voltare le spalle a chi gli chiede qualche cosa (cfr. Mt 5,42).  Le privazioni penitenziali, compiute sia in obbedienza alla norma ecclesiale sia per impulso di personale creatività, trovano un campo pressoché illimitato di applicazione. Il dramma della fame, che si consuma in più d'una regione del nostro pianeta, interpella pressantemente le coscienze. Ogni fratello che muore di fame, pesa sulla coscienza di tutti. A stimolarci in questo grave dovere di solidarietà concorre la Vergine Maria con le parole ammonitrici del Magnificat: «Ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato a mani vuote i ricchi» (Lc 1,53).
[Angelus, 17 marzo 1985]
 
13 marzo
 
«Miserere mei Deus secundum magnam misericordiam tuam».
La Quaresima è per  la Chiesa tempo di penitenza e di riconciliazione con Dio mediante la croce di Cristo. Questa riconciliazione costituisce il frutto della grazia della redenzione, che viene offerta sovrabbondantemente all'uomo di tutte le generazioni ed epoche, di tutte le nazioni e razze. Viene offerta a ciascuno di noi dallo Spirito Santo, che «ci è stato dato». Meditiamo dunque il Salmo 50, nel quale l'uomo eternamente si incontra con la grazia di Cristo. Questa grazia raggiunge lo spazio dell'uomo interiore, tocca le coscienze.  Ecco, l'uomo del Salmo 50 dice: «Riconosco la mia colpa, / il mio peccato mi sta sempre dinanzi. / Contro di te, contro te solo ho peccato, / quello che è male ai tuoi occhi, io l'ho fatto» (Sal 50,5-6).
L'uomo si presenta davanti a Dio in tutta la sua verità interiore. Questa è la verità della coscienza. Si rispecchia in essa la legge morale, che è conosciuta dall'uomo: essa infatti non solo è confermata dalla rivelazione, ma è anche scritta nel cuore di ognuno. Questa legge culmina nel comandamento dell'amore. Alla luce di questa legge - e ancor più alla luce dell'amore rivelato nella croce di Cristo - l'uomo vede la sua propria vita e il suo proprio comportamento, i propri pensieri, le parole e le opere. Vede nella verità. E attraverso questa verità si incontra con Dio. Non può incontrarsi con lui se non nella verità. In questo consiste l'insostituibile grandezza della coscienza. La Quaresima interpella ed esorta con particolare vigore le nostre coscienze.  Chiediamo alla Genitrice di Dio che questo invito della Quaresima trovi la risposta delle coscienze umane.  
[Angelus, 16 febbraio 1986]
 
14 marzo
 
«Riconosco la mia colpa, il mio peccato mi sta sempre dinanzi»! (Sal 50,5).
Tante generazioni hanno camminato sulle tracce segnate dalle parole di questo Salmo. Tante persone sono state aiutate da questo meraviglioso scritto della interiore verità della coscienza, per penetrare il proprio intimo. Sono state aiutate a chiamare col suo vero nome il male, che è nell'uomo e la cui causa è l'uomo.  L'esame di coscienza è sempre una rilettura della verità più profonda su di sé, che mai deve essere cancellata. La grandezza dell'uomo è in questa verità. La dignità della persona richiede che l'uomo sappia chiamarla per nome, che non la falsifichi. E quando l'uomo - insieme con il salmista - confessa: «Il mio peccato mi sta sempre dinanzi», riconosce, in pari tempo, che la forza stessa della verità interiore gli ordina di andare avanti, e di dire: «Contro di te ho peccato».  Il peccato è contro Dio. E' contro la sua volontà e la sua santità. Non è conforme ad essa e offende Dio. E in pari tempo è un dramma che si svolge tra Dio e l'uomo. Il peccato non è indifferente a Dio. Se ne convinse già il primo uomo come attesta la narrazione del libro della Genesi. E se ne convincono sempre le nuove generazioni dei figli e delle figlie di Adamo.
[Angelus, 23 febbraio 1986]
 
15 marzo
 
«Contro di te ho peccato».  Il peccato è contro Dio.
 L'uomo può tentare di diventare «indifferente» nei confronti del peccato. Può cercare di «neutralizzare» il peccato come spesso constatiamo che accade nel mondo contemporaneo. Tuttavia il peccato non diventerà mai «indifferente» a Dio. Dio è «sensibile» al peccato, fino alla croce del proprio Figlio, sul Golgota. Occorre dunque, che ognuno di noi ritorni spesso a queste parole del salmista: «Contro di te ho peccato». Proprio allora si manifesterà l'intera verità sul peccato. Il peccato non finisce nei limiti della coscienza umana, non ne è racchiuso. Esso per intrinseca definizione implica un riferimento: il riferimento a Dio. Questo riferimento è tuttavia salvifico! Esso significa che io - uomo - non rimango solo con la mia colpa! E Dio che è in un certo senso testimone «oculare» del mio peccato (oculare anche se invisibile!), è presso di me non solo per giudicare. Certo, mi giudica! Mi giudica con lo stesso giudizio interiore della mia coscienza (se essa non è stata resa sorda e deformata). Tuttavia il giudizio stesso è ormai salvifico. Mediante il fatto di chiamare il male col suo vero nome, rompo in un certo senso con esso, lo tengo a una certa distanza da me, anche se in pari tempo so che questo male, il peccato, non cessa di essere il mio peccato.  Ma anche se il mio peccato è contro Dio, Dio non è contro di me!  Nel momento della tensione interiore della coscienza umana, Dio non proclama la sua sentenza. Non condanna. Dio aspetta perché io mi rivolga a lui come alla Giustizia amorosa, come al Padre, nel modo che insegna la parabola del figlio prodigo. Perché «riveli» a lui il peccato. E mi affidi a lui. In questo modo, dall'esame di coscienza passiamo a ciò che costituisce la sostanza stessa della conversione e della riconciliazione con Dio.
[Angelus, 23 febbraio 1986]
 
16 marzo
 
Nel tempo di Quaresima, le nostre meditazioni si dirigono verso quell'interiore «itinerarium», mediante il quale l'uomo si avvicina a Dio nell'atto della conversione. Esame di coscienza, atto di dolore, proposito, confessione e penitenza. Così si chiamano le singole tappe di tale «itinerarium» nella tradizione della Chiesa, nella catechesi, nella pratica del sacramento della Penitenza. Lo ha ricordato il Sinodo dei
vescovi nel 1983, mediante il quale la Chiesa cercava - a seconda dei bisogni del nostro tempo - di rispondere all'invito di Cristo «paenitemini»: convertitevi! «Convertitevi e credete al Vangelo!» (Mc 1,15) Quando il re penitente dell'antica alleanza confessa: «Contro di te ho peccato... il mio peccato mi sta sempre dinanzi» (Sal 50,5-6), mette in evidenza quel momento, che nell'«itinerarium» interiore ci avvicina di più alla conversione. L'uomo riconosce nella sua coscienza la verità del peccato, e in pari tempo nasce il bisogno di finirla con esso. Voltarsi dal male che è il peccato. E' un momento decisivo. E' un momento pure difficile. A volte è doloroso. Tanto più doloroso, quanto più il peccato si è radicato nell'uomo. Quanto più è entrato nella sua vita. Quanto più l'uomo si è abituato a vivere con esso.  Giustamente si avverte in questo momento decisivo la somiglianza alla croce di Cristo.
[Angelus, 2 marzo 1986]
 
17 marzo
 
Nel tempo di Quaresima, le nostre meditazioni si dirigono verso quell'interiore «itinerarium», mediante il quale l'uomo si avvicina a Dio nell'atto della conversione.
La passione di Cristo contiene in sé tutta la pienezza della fatica salvifica; della fatica della redenzione, che porta in sé la vittoria assoluta sul peccato, a prezzo della passione e della morte in croce. Nel corso dell'«itinerarium» interiore, che deve pure condurre alla vittoria sul peccato, ognuno di noi è chiamato ad attingere a questa pienezza.  «Tibi soli peccavi»: Contro di te, contro di te solo ho peccato. Ed ecco: tu e solo tu sei con me nel momento in cui devo convertirmi, rompendo con il peccato nella profondità del mio «io» con l'atto della mia libera volontà. In questo modo, per opera della croce di Cristo, si uniscono la grazia della conversione e il libero atto della volontà dell'uomo. Il salmista prega poi: «Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo» (Sal 50,12). Quando l'uomo, sotto l'influsso della grazia della conversione, si volta dal male, ritrova di nuovo se stesso dinanzi a Dio, che è la sorgente inesauribile del bene. Ecco, nel momento della conversione l'uomo desidera il bene con tutto il cuore. Vuole il bene: e in questo consiste il proposito. Vuole un'altra vita, un cambiamento della condotta. In questo modo si sviluppa l'«itinerarium» interiore della riconciliazione con Dio. Unendoci nella nostra meditazione alla Madre che sta sotto la croce, preghiamo che questo «itinerarium» si sviluppi nel tempo di Quaresima in ognuno di noi. Che ella, Ausiliatrice, preghi insieme con noi il suo Figlio: «Crea in ciascuno un cuore puro, rinnova uno spirito saldo». Questo «spirito saldo» è necessario, perché la conversione sia efficace; perché nel sacramento della Penitenza nasca «un uomo nuovo».
[Angelus, 2 marzo 1986]
 
18 marzo
 
Nella Quaresima la Chiesa ci fa meditare nella liturgia la parabola del figlio prodigo. Via via che la Quaresima procede, l'insistenza della Chiesa diventa sempre più fervida: «riconciliatevi con Dio». La Chiesa ha ricevuto da Dio «la parola della riconciliazione» e il sacramento della riconciliazione. Il sacramento della Penitenza fu istituito da Cristo quando disse: «Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi» (Gv 20,22-23). Egli ha dato questo potere agli apostoli nel cenacolo, dopo la risurrezione, con riferimento alla sua morte di croce. Il sacramento della Penitenza racchiude in sé la
potenza salvifica della croce di Cristo e della risurrezione. Cristo dice: «a chi rimetterete i peccati saranno rimessi...». Leggiamo in relazione a ciò nell'esortazione apostolica «Reconciliatio et Paenitentia» 8n. 31): «Il sacramento della Penitenza... è una specie di azione giudiziaria; ma questa si svolge presso un tribunale di misericordia, più che di stretta e rigorosa giustizia... il peccatore vi svela i suoi peccati e la sua condizione di creatura soggetta al peccato; si impegna a rinunciare e a combattere il peccato; accetta la pena (penitenza sacramentale) che il confessore gli impone e ne riceve l'assoluzione». L'azione del sacramento della Penitenza - prosegue poi l'esortazione - ha pure un carattere «terapeutico o medicinale».
[Angelus, 9 marzo 1986]
 
19 marzo
 
«L'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea chiamata Nazaret, a una Vergine, sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria» (Lc 1,26-27).
Nel racconto dell'Annunciazione, accanto alla Vergine santissima compare il suo sposo, Giuseppe, il grande santo che proprio oggi veneriamo. Come riesce spontaneo e naturale il ricordo della sua mite figura! Il mio pensiero corre ai lunghi anni che Gesù trascorse nel seno della sua famiglia, accanto a Maria e a Giuseppe.
I Vangeli - è vero - sono molto sobri nel parlarci di questo periodo della vita del Salvatore. Quel poco che essi ci dicono ci offre tuttavia una luce di straordinaria intensità. Il Figlio di Dio ha voluto far suo il nostro cammino umano, la nostra storia, la nostra crescita umana, fisica e spirituale. Accanto a Gesù, ecco la dolce figura di Maria, la sua e nostra Madre, ecco la rassicurante presenza di Giuseppe, l'uomo «giusto» (Mt 1,19), che in operoso silenzio provvede alle necessità dell'intera famiglia. Oggi, 19 marzo, è soprattutto su di lui che sosta l'occhio del cuore, per ammirarne le doti di riservatezza e di disponibilità, di laboriosità e di coraggio, che ne circondano la mite figura di un alone di accattivante simpatia. Tutta la tradizione ha visto in san Giuseppe il patrono e il protettore della comunità dei credenti; la sua potente intercessione accompagna e protegge il cammino della Chiesa nel corso della storia. Egli la difende dai pericoli, la sostiene nelle lotte e nelle sofferenze, le indica il cammino, le ottiene conforti e consolazioni. Abbiamo confidenza in questo santo così grande e così umile. Partecipe com'egli è del mistero di Maria e del suo Figlio divino, egli ci guiderà dolcemente e sicuramente alla comprensione di questo mistero di salvezza, e porterà a compimento quanto di più bello – alla luce di Dio - il nostro cuore desidera.  San Giuseppe, con l'esempio della sua vita, parla anche a noi e ci invita a testimoniare nel mondo il nostro amore a Cristo, la nostra onestà e coerenza, il nostro impegno per costruire una società più giusta e più umana.
[Angelus, 19 marzo 1986]
 
 
20 marzo
 
«Miserere mei Deus...».
Nel corso della Quaresima la meditazione fa spesso riferimento a quelle parole del Salmo, nelle quali la verità sul peccato e sulla conversione a Dio trova la sua piena manifestazione. E' la verità della fede, la verità del pensare, e, ancor più, la verità della coscienza: «Pietà di me, o Dio, secondo la tua misericordia; / nella tua grande bontà cancella il mio peccato. / Lavami da tutte le mie colpe, / mondami dal mio peccato» (Sal 50,3-4).  L'uomo si incontra con Dio mediante la verità della coscienza
quando confessa il suo peccato. La grazia della conversione lo conduce di nuovo a Dio, che Cristo ha rivelato come Padre: è il Padre di ciascuno dei figli prodighi. Quando un peccatore si rivolge a Lui con una vera conversione, quando si presenta a Lui con un vero atto di dolore per i peccati, allora il Padre lo accoglie sotto il tetto della casa paterna: lo accoglie nella comunione di quell'amore, che ha rivelato ai suoi figli. Infatti «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna» (Gv 3,16).
[Angelus, 16 marzo 1986]
 
21 marzo
 
«Miserere mei Deus...».
La nostra riflessione quaresimale si rivolge al sacramento della riconciliazione, col quale l'uomo pentito - dopo l'accusa dei peccati - ne ottiene la remissione. Solo Dio può rimettere i peccati, perché Egli è Amore. Amore! Mediante la croce di Cristo, in cui proprio questo Amore si manifesta definitivamente, l'uomo, da figlio prodigo qual era, «diventa giustizia di Dio». Viene liberato dal peccato, giustificato, viene fatto ritornare alla giustizia di Dio mediante l'amore. E' veramente inscrutabile quell'incontro col Dio vivente che l'uomo sperimenta nel sacramento della penitenza.
Questo incontro è sorgente di profonda gioia spirituale. Grida il salmista: «Rendimi la gioia...» (Sal 50,14). Infatti il peccato che grava sull'uomo è la sorgente di tristezza e di abbattimento. «Rendimi la gioia di essere salvato». Questa gioia viene restituita dalla grazia del sacramento della riconciliazione con Dio.  La grazia genera nell'uomo anche la prontezza nel soddisfare a Dio e agli uomini. Perciò il salmista prega: «Sostieni in me un animo generoso» (cfr. Sal 50,14). L'uomo interiormente rinnovato è tanto più pronto a fare il bene quanto più, prima, il peccato lo ha legato al male. E' pronto a sopportarne i sacrifici. La grazia del sacramento della penitenza non solo «interrompe» in noi la presenza del peccato, ma veramente «rinnova la potenza dello spirito»: sprigiona le nuove energie di ciò che è buono.  Preghiamo la Madre di Dio, perché in ciascuno di noi il sacramento della penitenza si congiunga alla prontezza della riparazione. Vincendo il male col bene, partecipiamo sempre più pienamente al mistero della Pasqua di Cristo.  
[Angelus, 16 marzo 1986]
 
22 marzo
 
Ricordati di santificare il giorno del Signore.
La Bibbia lo pone in connessione con l'opera creatrice di Dio (cfr. Es 20,11). Lo "shabbat", il religioso riposo a cui l'uomo è chiamato, è l'eco dello "shabbat" di Dio dopo i giorni della creazione. Il settimo giorno Jahwè contemplò con occhio ammirato e gioioso il capolavoro delle sue mani. L'intera creazione e l'uomo che ne era il vertice furono come avvolti da quello sguardo amorevole: ne sentirono il tepore, godendone come un bimbo gioisce del sorriso della madre. La verità spirituale del sabato biblico si compie nella domenica cristiana, giorno della Risurrezione di Cristo, "giorno del Signore" per eccellenza, in cui la vita ha trionfato sulla morte, ponendo il germe della nuova creazione. La celebrazione della domenica, pertanto, annuncia tale evento. Essa risponde per i credenti non soltanto al dovere della preghiera, che in realtà deve fiorire in ogni ora della giornata lungo tutto l'arco della vita, ma ad una esigenza che potremmo dire di prolungata intimità col Signore. La domenica è il giorno riservato all'incontro speciale del Padre coi suoi figli, è il momento dell'intimità tra Cristo e la Chiesa sua sposa. L'obbligo di partecipare alla Messa domenicale si comprende alla luce di questa profonda esperienza spirituale e religiosa.
[Angelus, 28 marzo 1993]
 
23 marzo
 
La preghiera dell'"Angelus" ci svela la sua profondità eucaristica. Cristo, nel Sacrificio dell'altare, sotto le specie del pane e del vino ci dà come cibo il Corpo e Sangue, che per opera dello Spirito Santo gli ha dato sua Madre, Maria.
Dio Padre, scegliendo Maria come Madre del suo Figlio unigenito, l'ha unita in modo particolare con l'Eucaristia. Maria, insegnaci a comprendere sempre più pienamente questo grande mistero della fede, affinché con gioia e gratitudine accogliamo sempre l'invito del tuo Figlio: "Prendete e mangiatene, questo è il mio Corpo. Prendete e bevetene, questo è il mio Sangue". "Ti salutiamo, Pane angelico,ti adoriamo in questo Sacramento. Ave, Gesù, Figlio di Maria, nella santa Ostia sei il vero Dio".
Che il mistero dell'Eucaristia pervada tutta la vostra vita. Che dall'Eucaristia attinga forza il vostro amore per Dio e per i fratelli, che s'accenda la vostra fede e si rafforzi la vostra speranza. Lodando la presenza di Cristo nell'Eucaristia, rendiamo anche grazie a Dio per il dono del sacerdozio. Il sacerdozio e l'Eucaristia sono uniti indissolubilmente tra loro. Il sacerdote è ministro dell'Eucaristia. Nella comunità della Chiesa è lui ad adempiere in modo particolare l'esortazione di Cristo: "Fate questo in memoria di me". Innestato nel Cristo-Sacerdote per mezzo del sacramento dell'Ordine, con la potenza di Lui celebra il Sacrifico eucaristico. Non c'è sacerdozio senza Eucaristia. Non c'è Sacrificio eucaristico senza sacerdozio. La preghiera dell'"Angelus", che reciteremo tra un istante, diventi dunque anche rendimento di grazie per il dono del sacerdozio e una grande supplica per le nuove vocazioni.
[Angelus, 1 giugno 1997]
 
24 marzo
 
…Ci rivolgiamo con il pensiero a Maria, recitando l'"Angelus". Tutti conosciamo questa preghiera. Sappiamo che ci ricorda la scena dell'Annunciazione. "L'angelo del Signore recò l'annuncio a Maria ed ella concepì per opera dello Spirito Santo". Il momento dell'annuncio è anche l'istante del concepimento verginale del Figlio di Dio. Così, dunque, questa preghiera mariana, che recitiamo tre volte durante la giornata, ci ricorda questo grande mistero dell'Incarnazione. "Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te... Benedetta tu fra le donne, e benedetto è il frutto del tuo grembo" (Lc 1, 28.42). [Vi è] … un particolare nesso tra il mistero dell'Incarnazione e l'Eucaristia. "Il Verbo si fece carne ed abitò tra noi", ripetiamo nella preghiera dell'"Angelus". E' proprio questa carne a diventare Eucaristia, quando il sacerdote pronunzia sopra il pane e il vino le parole, che Cristo pronunziò nel Cenacolo: "Questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi". Corpo e Sangue. "Questo è il mio sangue per la nuova ed eterna alleanza, versato per voi e per tutti. Fate questo in memoria di me!" (cfr 1 Cor 11, 24-25). Questo mirabile legame tra il mistero del Verbo Incarnato e l'Eucaristia viene espresso in modo molto bello da un canto eucaristico polacco:
"Ti salutiamo, Ostia viva,
in cui Gesù Cristo cela la divinità.
Ave, Gesù, Figlio di Maria,
nella santa Ostia sei il vero Dio".
[Angelus, 1 giugno 1997]
 
25 marzo
 
Oggi siamo invitati a rallegrarci, come un tempo Maria al momento dell'annunciazione. A lei per prima l'angelo rivolse l'invito: «Kàire», «Rallegrati» (Lc 1,28) e Maria poté sperimentare tutta la gioia che le veniva offerta perché seppe cooperare pienamente con Dio, compiendo fino in fondo la missione che le era stata affidata. Ringraziando Maria di essere stata perfetta cooperatrice di Dio, le chiediamo di aiutare anche noi a seguire questa via. E poiché si avvicina la data del Sinodo sulla formazione sacerdotale, noi l'imploriamo affinché, grazie anche a tale evento ecclesiale, coloro che sono chiamati al sacerdozio siano formati all'impegnativo compito di cooperatori di Dio. Il sacerdote infatti è chiamato a vivere in modo particolarmente intenso questa cooperazione. San Paolo era consapevole di ciò quando scriveva: «Noi siamo i cooperatori di Dio (1Cor 3,9). Egli sottolineava il dovere di fedeltà che ne derivava. Si considerava come amministratore dell'opera divina, un amministratore che doveva gestire quest'opera secondo le intenzioni di Dio con completa docilità, ma che s'impegnava anche personalmente in essa, unendo la sua azione all'azione divina. Nella cooperazione egli utilizzava tutte le risorse e tutte le qualità di cui disponeva. Cristo ha voluto, nella sua Chiesa, cooperatori con la
responsabilità di pastori, collaboratori che impieghino tutte le loro forze nel servizio per il regno da lui fondato sulla terra.
[Angelus, 25 marzo 1990]
 
26 marzo
 
Vogliamo continuare a riflettere su: «Maria e il soffrire umano».
In Maria, in modo unico, si rivela il mistero salvifico della sofferenza, e il significato e l'ampiezza della solidarietà umana. Perché la Vergine non soffrì per sé, essendo la tutta bella, la sempre immacolata: soffrì per noi, in quanto è la madre di tutti. Come Cristo «si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori» (Is 53,4), così anche lei fu gravata come da dolori da parto per un'immensa maternità che ci rigenera a Dio. La sofferenza di Maria, nuova Eva, accanto al nuovo Adamo, Cristo, fu e rimane la via regale della riconciliazione del mondo. «Rallegrati, Gerusalemme! Esultate e gioite, voi che eravate nella tristezza!». Nella figura della Vergine Madre, segnata dal dolore per la infedeltà dei figli, ma invitata ad esultare di gioia in vista della loro redenzione, si inserisce il nostro dolore: anche noi possiamo diventare «una particella dell'infinito tesoro della redenzione del mondo» («Salvifici Doloris», 27), perché altri possano condividere questo tesoro e giungere alla pienezza della gioia che esso ci ha meritato.
[Angelus, 1 aprile 1984]
 
27 marzo
 
Tutta la Quaresima è orientata verso la Pasqua. Il suo cammino deve vederci tutti impegnati. La meta verso cui ci si muove consiste, in definitiva, nella purificazione del cuore da tutto ciò che lo allontana da Dio e gli impedisce di realizzare meglio il primo comandamento: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza» (Mc 12,30).  Ciascuno di noi è quindi invitato a chiedersi in che modo gli sia possibile vivere di un amore che offre tutto a Dio. I primi ad essere chiamati a questa conversione del cuore sono i sacerdoti: essi hanno la missione di incoraggiare gli uomini a convertirsi, e possono compiere tale missione solo se essi stessi sono profondamente convertiti, ossia tesi verso Dio con tutto il loro cuore e con tutte le loro forze. Tocchiamo qui un elemento fondamentale di quella formazione sacerdotale, di cui tratterà il Sinodo. Il sacerdote è l'uomo di Dio, colui che appartiene a Dio e fa pensare a Dio. Quando la Lettera agli
Ebrei parla di Cristo, lo presenta come un «sommo sacerdote misericordioso e fedele nelle cose che riguardano Dio» (Eb 2,17). Questo riferimento a Dio e alle cose che lo riguardano si ritrova nella definizione di ogni sacerdote. Il sacerdote è incaricato delle relazioni dell'umanità con Dio: egli è perciò costituzionalmente rivolto verso Dio, per far giungere a Dio le offerte umane e per condurre tutto il popolo dei credenti a rendere omaggio a Dio. I cristiani sperano di trovare nel sacerdote non solo un uomo che li accoglie, che li ascolta volentieri e testimonia loro una sincera simpatia, ma anche e soprattutto un uomo che li aiuta a guardare a Dio, a salire verso di lui.
[Angelus, 4 marzo 1990]
 
28 marzo
 
La Quaresima è un tempo di preghiera. E' vero che la preghiera deve avere sempre il suo posto nella nostra vita, in tutte le epoche dell'anno, ma i quaranta giorni che precedono il mistero pasquale ci invita a una preghiera più intensa e più assidua.  Quando Gesù passò quaranta giorni nel deserto, si dedicò alla preghiera. Nella solitudine si raccolse totalmente alla presenza del Padre; lo contemplò, dialogando con lui; gli affidò la sua missione. I quaranta giorni di preghiera, che precedettero la sua attività di predicazione, sono una lezione per tutti, ma in particolare per il sacerdote. Egli non è soltanto l'uomo d'azione che si dedica al bene di coloro che gli sono affidati; è prima di tutto l'uomo della preghiera. Egli è l’uomo di Dio: essere uomo di Dio significa essere uomo di preghiera. Per il sacerdote, la preghiera è un'esigenza che scaturisce tanto dalla sua vita personale quanto dal ministero apostolico. Il sacerdote ha bisogno della preghiera perché la sua possa essere, come deve, una vita essenzialmente donata a Cristo. Non è possibile appartenere a Cristo con tutta la propria esistenza, senza intrattenere con lui profonde relazioni personali che si esprimano nel dialogo della preghiera, senza volgere costantemente lo sguardo verso di lui, per vivere in comunione con lui. Il sacerdote è chiamato a pregare per coloro ai quali è inviato: deve ad essi il servizio della preghiera, mediante la quale può ottenere loro numerose grazie.  
[Angelus, 11 marzo 1990]
 
29 marzo
 
In questo tempo di Quaresima siamo invitati a riflettere, rientrando in noi stessi per cogliere meglio il senso del nostro destino. Si tratta di pensare alle cose veramente essenziali della nostra esistenza. Il nostro sguardo, infatti, e con esso il nostro pensiero, sono spesso attratti dalle cose visibili che ci circondano, così che noi rischiamo di fermarci solo alle nostre necessità più immediate, trascurando di interrogarci sullo scopo ultimo della nostra vita. Ma tale scopo è importante, perché dal suo conseguimento dipende l'esito della nostra vicenda terrena.
Per scoprire con sicura chiarezza questo scopo, dobbiamo abbandonare i nostri pensieri troppo superficiali, per fare spazio in noi alla sapienza divina. Già l'Antico Testamento raccomandava la ricerca della Sapienza, che è dono divino, ma che «si lascia trovare da quelli che la cercano» (Sap 6,12). Cristo, poi, ci ha fatto capire di essere lui stesso la Sapienza venuta a istruire l'umanità. Questa Sapienza deve animare il pensiero del sacerdote ed orientarne l'insegnamento e l'azione. In particolare, il sacerdote ha il compito di ricordare ai suoi fratelli il senso ultimo della vita, per orientarli nella vera prospettiva della loro esistenza. Egli deve essere animato di buonsenso e più precisamente di buonsenso soprannaturale, per saper superare nella luce della grazia le vedute troppo strette dei ragionamenti puramente umani. Riconducendo lo sguardo verso Dio, il sacerdote aiuta coloro che incontra a realizzare il pieno sviluppo della loro personalità umana e cristiana.
[Angelus, 18 marzo 1990]
 
30 marzo
 
“Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna" (Gv 3,16).
L'uomo del nostro tempo sente il bisogno di questo annuncio? A prima vista sembrerebbe di no giacché, soprattutto nelle espressioni pubbliche e in una certa cultura dominante, emerge l'immagine di una umanità che fa volentieri a meno di Dio, rivendicando un'assoluta libertà anche contro la legge morale.
Ma quando si guarda da vicino la realtà di ciascuna persona, costretta a fare i conti con la propria fragilità e la propria solitudine, ci si accorge che, più di quanto non si creda, gli animi sono dominati dall'angoscia, dall'ansia per il futuro, dalla paura della malattia e della morte. Il cristianesimo non offre consolazioni a buon mercato, esigente com'è nel richiedere una fede autentica e una vita morale rigorosa. Ma ci dà motivo di speranza additandoci Dio come Padre ricco di misericordia, che ci ha donato il Figlio, mostrandoci così il suo immenso amore.
[Angelus, 9 marzo 1997]
 
 
31 marzo
 
E' ora di tornare a Dio! Sì, carissimi Fratelli e Sorelle, il mondo ha bisogno di Dio, spesso così poco creduto e adorato, così poco amato e obbedito. Egli non tace, ma chiede l'umile silenzio dell'ascolto. Il suo infinito rispetto per la nostra libertà non è debolezza: Egli ci tratta da figli. Lasciamo che la sua parola tocchi il nostro cuore. Egli è la speranza dell'uomo ed il fondamento della sua autentica dignità. Alla prova dei fatti, si è dimostrata cieca ogni ideologia che ha voluto porre l'uomo in alternativa a Dio, la creatura al Creatore, «Senza il Creatore - ammonisce il Concilio – la creatura svanisce» (Gaudium et Spes, 36). Certo, è giusto e doveroso affermare e difendere i «diritti dell'uomo»; ma prima ancora occorre riconoscere e rispettare i «diritti di Dio». Trascurando questi, si rischia, oltretutto, di vanificare anche quelli: «Se manca il fondamento divino e la speranza della vita eterna - afferma ancora il Concilio - la dignità umana viene lesa in maniera assai grave» (Ibid. 21). «E' ora di tornare a Dio!». A chi non ha ancora la gioia della fede, è chiesto il coraggio di cercarla con fiducia, perseveranza e disponibilità. A chi ha già la grazia di possederla, è domandato di apprezzarla come il tesoro più prezioso della sua esistenza, vivendola fino in fondo e testimoniandola con passione. Di fede, di fede autentica e profonda ha sete il nostro mondo, perché solo Dio può soddisfare appieno le aspirazioni del cuore umano. Bisogna tornare a Dio: riconoscere e rispettare i diritti di Dio! Chiediamo alla Vergine Santa questa rinnovata consapevolezza. La sua presenza ammonitrice e materna tante volte si è fatta sentire, anche nel nostro secolo: sembra quasi che ella voglia avvertirci dei pericoli che incombono sull'umanità. Alla forza oscura del male, Maria ci chiede di rispondere con le pacifiche armi della preghiera, del digiuno, della carità: ci addita Cristo, ci porta a Cristo. Non deludiamo le attese del suo cuore di Madre.
[Angelus, 7 marzo 1993]