Famiglia per vocazione
cap. 17 La missione regale della famiglia

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Siamo giunti alla proposta dell'ultimo capitolo del mio volume su "Famiglia per vocazione". Ora attenderemo l'Esortazione apostolica post-sinodale di Papa Francesco che fin d'ora accoglieremo con massima disponibilità effettiva e affettiva e la riterremo bussala di buon cammino per la pastorale della famiglia e Vangelo del matrimonio. Non cederemo a letture parziali e/o opportunistiche delle tematiche sinodali. E' questo il momento della meditazione e della azione.
 

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La famiglia cristiana edifica la comunità parroc­chiale vivendo la missione regale.

Il servizio regale è il servizio all'uomo; è il ministe­ro della carità che si incarna nell'amore oblativo; è il far proprie le affermazioni del Signore, il quale ha di­chiarato di essere venuto « non per essere servito ma per servire e dare la vita... ».

Il ministero della regalità va quindi nella direzione del quotidiano farsi prossimo dell'uomo qualunque, camminando accanto all'uomo, sulle strade della vita, vivendo le sue ansie e le sue speranze, le sue gioie e i suoi dolori, ponendosi accanto a lui proprio come co­lui che serve,

Nella edificazione di una comunità parrocchiale e civile unita, fraterna, solidale, missionaria, aperta alle sfide del mondo odierno la famiglia assume un ruolo decisivo.

 

IL SERVIZIO DELLA COPPIA A SE STESSA

 

La famiglia « è il primo luogo in cui l'annuncio del vangelo della carità può essere da tutti vissuto e verifi-cato in maniera semplice e spontanea » (ETC 30).

È nell'ambito della stessa famiglia che si apprende, si fa esperienza e si vive 'A farsi prossimo.

Ovviamente questo suppone uno stile di vita e un atteggiamento davvero evangelico: carità, servizio, ge­nerosità, accoglienza e accettazione scambievole.

Il rapporto uomo-donna attraversa oggi una fase di instabilità, sia per la fragilità delle persone, sia per un certo rigetto della dimensione istituzionale, sia per la diminuzione del sostegno morale, cui non si fa molto riferimento e ricorso.

Ne deriva sovente il fatto che anche talune diffi­coltà temporanee vengono vissute come irreparabili. Si fatica ad accettarle come transitorie, a sopportarle con un poco di spirito di sacrificio, a ricercare insieme soluzioni praticabili.

 

Tra i giovani sembra obsoleto dedicare tempo alla conoscenza vicendevole. Le difficoltà creano smarri­mento, sfiducia, delusione. La strada più facile appare essere quella dell'abbandono.

Il rapporto uomo-donna sembra proprio da reinven­tare. Potrà apparire strano tuttavia - anche alla luce di recenti dichiarazioni - e sorprendente, ad esempio, il dover prendere atto delle violenze consumate entro le pareti domestiche a danno della donna. Questo comporta una disponibilità al cambiamen­to della mentalità maschile; una ricerca di soluzioni sulla base della reciprocità e di effettivo riconoscimen­to delle identità specifiche e della pari dignità.

Sottolineare i valori della persona e della libertà, del­l'amore e della coppia, del corpo e della sessualità, contribuisce certamente al benessere della vita e della vita insieme; purché i valori dell'amore e della libertà, del corpo e della sessualità siano coniugati insieme a quel­li della fedeltà e della responsabilità, del dono e della gratuità, altrimenti il matrimonio e la famiglia hanno vita grama.

 

L'impegno della coppia nel suo servizio a se stessa deve essere orientato al superamento della soggettivizzazione, secondo il quale l'io individuale è principio e fine, misura inappellabile di ciò che è bene o male. Se­condo questo criterio tutto è relativo: non si ricono­scono altri diritti che quelli individuali che rispondo­no a interessi e bisogni e non contemplano doveri e responsabilità.

Così i valori vengono confusi e interpretati come bisogni. Il principio di bene/male è denominato feli­cità/infelicità personale; i princìpi morali sono interpre­tati come bisogni soggettivi.

Sulla base di tali considerazioni si diffonde una mentalità per cui, ad esempio, un figlio è sentito come un peso e la fedeltà come una catena. La libertà è vis­suta in senso individualistico e l'amore in senso priva­tistico.

 

Nonostante lacune, qualche problema e qualche contraddizione, la famiglia è comunque una grande ri­sorsa e può costituire uno dei germi di speranza, uno dei segnali positivi che emergono dall'esistente.

Se nei rapporti interpersonali il senso dei diritti sarà integrato con quello dei doveri e della correspon­sabilità; se attraverso modelli trasparenti testimonierà la fedeltà, l'unità, l'indissolubilità del matrimonio, l'equa parità della dignità della persona umana, la fa­miglia potrà essere veramente riconosciuta come sog­getto ecclesiale di grande servizio per la comunità par­rocchiale e civile.

 

UNA FAMIGLIA PIÙ APERTA ALLA SOCIETÀ

 

 

La famiglia cristiana, nata dal matrimonio-sacramen­to, riproduce in miniatura i differenti aspetti della Chie­sa.

E dunque, come la Chiesa, la famiglia cristiana è chiamata all'annunzio del Vangelo con la parola e con la vita e alla promozione della comunità degli uomini.

La famiglia cristiana mancherebbe, perciò a un suo preciso dovere se non partecipasse, come famiglia, a questa missione regale della Chiesa.

L'apertura poi della famiglia cristiana per un coscien­te e operante servizio alla e nella comunità sociale, è richiesta dalla sua funzione « di prima e vitale cellula della società » (AA 11).

I vasti e diversificati campi dell'agire umano recla­mano la presenza di una famiglia cristiana che rappre­senti e significhi un momento particolare della media­zione tra Chiesa e mondo, tra Vangelo e storia.

L'ostacolo più grande per costruire una autentica civiltà dell'amore è la mentalità per cui la società è fat­ta solo di individui.

 

L'individualismo e il privatismo sono la negazione della comunità e della comunione.

E - si badi - non si vuoi qui fare riferimento solo all'individualismo e al privatismo in ordine alla opera­tività, ma altresì a una strisciante mentalità individuali­stica e privatistica. La carità vera, la partecipazione, la condivisione « non è sentimento di vaga compassione o di superficia­le intenerimento per i mali di tante persone vicine e lontane,... ma determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno, perché tutti siano veramente responsabili di tutti. La famiglia può dare il suo contributo alla civiltà dell'amore cooperando con la comunità parrocchiale ad evangelizzare la solidarietà. L'evangelizzazione infatti « ha come suo cuore il vangelo della carità » (ETC 25); e la carità si esprime, attraverso la solidarietà.

 

LA SOLIDARIETÀ VIENE DA DIO

 

Perché la solidarietà non resti un sentimento di va­ga compassione occorre scoprirne la radice, il modello, il sostegno, la speranza nella stessa solidarietà di Dio.

Dio ha creato il mondo e l'ha consegnato a tutti gli uomini perché tutti fossero partecipi dei beni della crea­zione. Il peccato ha compromesso questo disegno di­vino; l'egoismo da quel momento ha segnato la vita e la storia degli uomini. Ma Dio prosegue nell'attuazio­ne del suo piano, nonostante la resistenza del peccato. Dapprima si impegna in un patto d'alleanza con il po­polo di Israele; poi, con Gesù, porta a compimento il suo piano: riunire in una sola famiglia tutti gli uomini, tutti i figli di Dio che erano dispersi. In Gesù, il Cri­sto, il Dio dell'alleanza si rivela come il Dio dell'amore (cf 1Gv 4,16).

 

La più grande espressione della solidarietà di Cri­sto con gli uomini e degli uomini tra loro è la croce. « Da questo abbiamo conosciuto l'amore: Egli ha dato la sua vita per noi, quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli ».

La comunità di Atti, fedele al mandato del suo Si­gnore e sorretta dalla catechesi degli apostoli e dei di­scepoli del Risorto racconta l'amore di Cristo con la parola e con la testimonianza: « Nessuno tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano il ricavato di ciò che era stato ven­duto e lo deponeva ai piedi degli apostoli; e poi veniva distribuito a ciascuno secondo i bisogni » (At 4,34-35). Oggi la Chiesa è chiamata a vivere questo modello d'amore e di solidarietà come segno profetico di uma­nità nuova, riconciliata, solidale, basata sulla carità. Impresa non facile. La solidarietà dei cristiani, come la carità, nasce, cresce e si fonda sulla fede.

 

LA SOLIDARIETÀ DEI CRISTIANI

 

Perché la solidarietà di Dio penetri - attraverso i cristiani - nella storia e nel tessuto della società, la te­stimonianza della carità e la solidarietà dei cristiani de­ve essere pensata alla grande.

Il pensiero di Gesù è chiarificatore: « Tutto quello che volete che la gente faccia a voi anche voi fatelo agli altri» (Mt 7,12).

Sostenere il prossimo è virtù attiva e la profezia del fraterno aiuto cristiano ha la sua ragione ultima nel re­cupero totale del senso dell'uomo.

Solidarietà, infatti, è prossimità. Si è solidali se ci si fa avanti, attivamente e discretamente, prossimi agli altri uomini, se si riesce a condividere con loro proble­mi, bisogni, speranze; operando di conseguenza.

Il concetto di solidarietà chiama in causa l'altrui­smo-^ ma poiché un atto possa dirsi altruistico, occorre che sia fine a se stesso, svolto volontariamente, per il bene. L'atto della solidarietà da all'altro ciò che ritiene utile a lui, senza aspettarsi un ricambiai E il gesto del darsi, del dedicarsi fraterno.

 

Nel documento dei Vescovi italiani Evangelizzazio­ne e testimonianza della carità le molteplici dimensioni della solidarietà dei cristiani sono così individuate:

-        come rispetto dell'altro, riconosciuto come perso­na e come immagine di Dio, che porta in sé la dignità e la grandezza del Creatore;

-     come accettazione della croce pasquale, che « im­pegno per il bene del prossimo con la disponibilità a perdersi in favore dell'altro, a servirlo invece di oppri­merlo per il proprio tornaconto » (SRS 40);

-        come accettazione della reciprocità, cioè come re­lazione che accoglie e valorizza la ricchezza e la diffe­renza dell'altro;

-     come apertura all'altro rifiutando ogni pregiudi­zio ed esclusione, superando ogni confine per far pro­prie le dimensioni del cuore di Cristo;

-     come corresponsabilità politica collaborando ad ogni livello perché la società, le strutture sociali, la stessa politica assuma i tratti della giustizia e della so­lidarietà, della condivisione e della premura, del ri­spetto dei valori etici e morali, del rispetto per l'uomo dal suo nascere al tramonto della sua esistenza.

 

In questo ampio orizzonte la famiglia ha un suo ruo­lo e un suo modo originale di incarnare questa mis­sione. Scrive il Papa nella Centesimus Annus: « Per superare la mentalità individualistica, oggi diffu­sa, si richiede un concreto impegno di solidarietà e di carità, il quale inizia all'interno della famiglia col mu­tuo sostegno degli sposi e poi con la cura che le genera­zioni si prendono l'una dell'altra. In tal modo, la fami-glia si qualifica come comunità di lavoro e di solida­rietà »(CA 48).

 

 

LA FAMIGLIA VIVE E TESTIMONIA LA SOLIDARIETÀ

 

« Tutti siamo veramente responsabili di tutti ». La solidarietà è la risposta al riconoscimento della interdi­pendenza che lega l'uomo a tutti gli uomini.

A livello mondiale si assiste a un fenomeno nuovo e impressionante, impensabile fino  non molto tempo fa: il mondo sta diventando sempre più un unico grande villaggio, in cui le razze, le lingue, le culture e le religio­ni si fondono e si confondono.

Sembra di essere incamminati verso la formazione di un unico grande popolo multirazziale, multietnico, multireligioso. Eventi mondiali, anche recenti, fanno toccare con mano che gli uomini e le donne del piane­ta terra sono legati da un'unica sorte e che i problemi degli uni sono indissociabili da quelli degli altri.

La famiglia cristiana in questo contesto sociale e so­lidale può fortemente cooperare con la comunità par­rocchiale, aiutandola a scoprire il senso profondo delle relazioni umane e della solidarietà.

 

LA FAMIGLIA SCUOLA DI SOLIDARIETÀ

 

La famiglia è chiamata a essere la prima scuola di solidarietà: lo è per le relazioni che di fatto in essa vi­vono, per quel poco o tanto di amore che tiene insie­me le persone; può esserlo nella misura della forma­zione dei genitori; deve esserlo perché una famiglia è difficilmente surrogabile. L'amore reciproco dei genitori è la prima esperien­za - quella decisiva - che favorisce nel bambino la con­naturale capacità di amare; egli impara ad amare ve­dendo come si amano i suoi genitori. Un amore di coppia egoistico, chiuso alla vita è la morte dell'amore vero; la generosità del dare la vita è segno di un amore autentico. L'amore che i genitori danno al figlio segna sempre lo sviluppo delle relazioni che il fanciullo riuscirà ad instaurare con le persone che vivono in casa e che av­vicinerà nella vita. La famiglia è il primo luogo dove si imparano la giustizia e l'onestà, la tolleranza e il rispet­to, la corresponsabilità e la condivisione, l'altruismo e la preoccupazione per coloro che sono svantaggiati.

 

La partecipazione quotidiana vissuta nella casa rap­presenta la forma più concreta ed efficace di sana pe­dagogia per l'inserimento attivo dei figli nel più ampio orizzonte della società (cf FC 43 e 64). Condizione è - appunto - l'esempio dei genitori e l'esperienza quotidiana di uno stile di vita familiare che sia alternativo a quello di una società del benessere e dei consumi, dell'individualismo e del privatismo:

-         se i figli sentono pronunciare parole di disgusto, o addirittura oltraggiose verso gli immigrati;

-      se i figli constatano che il padre o la madre hanno quale unico obiettivo quello di frodare lo Stato non pagando le tasse;

-         se i figli percepiscono che in famiglia è prassi in­staurata l'arte di arrangiarsi anche a danno o comun­que a svantaggio degli altri per il raggiungimento del proprio benessere;

-         se i figli notano che per i genitori tutti coloro che bussano alla porta di casa « disturbano »;

-         se i figli sentono dire in famiglia che « tutti sono disonesti », che « non ci si può mai fidare di nessuno »;

-         se i figli ascoltano giudizi come questi: « chi è col­pito dall'aids è uno sporcaccione, chi si droga è un debo­sciato, chi ha un figlio fuori del matrimonio è un poco di buono, e la ragazza è una di quelle..., chi si ubriaca è un intemperante ».

 

Se tutto questo il figlio respira in famiglia, come può nascere in lui il senso autentico della solidarietà? Tutto questo non significa essere indulgenti, passare sopra, non valutare moralmente negativo l'atto in sé.

Famiglie che, al contrario, seminano con gradualità e pazienza i semi della fraternità e della generosità, pos­sono diventare segno profetico nella parrocchia e nella società.

 

LA FAMIGLIA SULLE VIE DELLA SOLIDARIETÀ

 

Nel percorso di riflessione fin qui compiuto, sono già emerse, qua e là, occasioni e situazioni di impegno per una corale solidarietà sia all'interno della famiglia, della comunità parrocchiale e della comunità civile. Tuttavia, nell'ambito di una sistematizzazione più omogenea di questo volume, appare, forse più pro­duttivo indulgere un poco ancora e in maniera più or­ganica sulle vie della solidarietà, alle quali è chiamata la famiglia cristiana nell'impegno fattivo di annuncio del Vangelo della Carità. Vi è una prima via che si potrebbe definire della solidarietà personale. Essa si esprime nell'esercizio competente del proprio lavoro, nel fare ciascuno la pro­pria parte, ciascuno secondo la propria vocazione, con costanza e semplicità, con onestà leale, amando le per­sone nella carità del Cristo (cf 2Cor 5,14), facendo una cosa alla volta e fatta bene.

 

Il fondatore dei missionari e missionarie della Con­solata, il beato Giuseppe Allamano, era solito rivolgersi ai suoi figli spirituali invitandoli a «fare bene il bene »

La seconda via è quella della solidarietà corale che ci fa sentire responsabili dell'insieme. Il servire insieme ha un significato - oltre che sama­ritano - altresì ecclesiale. Ciò vuoi dire, ad esempio, maturare insieme alla co­munità parrocchiale, nell'ambito del Consiglio pasto­rale gli interventi possibili. Molte volte anche le azioni di carità più squisite la­sciano un certo senso d'amarezza, allorquando sono svol­te in una dinamica isolata. Si pensi a una parrocchia nella multiformità dei suoi individui, gruppi, movimenti, associazioni; non è bello, né edificante constatare che ognuno procede per proprio conto, individuando operazioni e situazio­ni di intervento, che sono poi svolte senza un minimo di coordinamento a livello più ampio e comunitario.

 

Quanto di più e di meglio si potrebbe fare se tutti i problemi di una parrocchia fossero portati sull'unico tavolo della comunità, esaminati e valutati insieme e ri­partiti anche secondo il carisma, l'indole, l'attitudine e il ministero proprio e specifico dei singoli, dei gruppi, delle associazioni, dei movimenti.

Una tale coralità di servizio caritativo avrebbe in­nanzi tutto il pregio di essere vera espressione d'amo­re della comunità. In. secondo luogo avrebbe la garan­zia di una azione capillare sul vasto contesto parroc­chiale nella certezza che, suddividendo gli interventi, il territorio potrebbe ragionevolmente considerarsi più coperto. In terzo luogo un gesto d'amore non può non tradurre il forte sentimento di amore che accomuna tutti coloro che intendono compierlo.

 

Questa riflessione introduce a un aspetto straordi­nario e grande della solidarietà: la solidarietà della sof­ferenza, e della intercessione.

La solidarietà non si esprime solo con le opere.

Nell'economia di Dio, nella logica della croce e della carità essa ha un posto eminente. Oltre tutto è spesso l'unica solidarietà possibile che prestano molte perso­ne anziane e molte persone ammalate.

E nelle case dove si soffre, si fatica e si prega: è nel­le chiese dove si offre e si intercede per i sofferenti che si attua e si perpetua la misteriosa solidarietà che Dio ha dimostrato e continua a dimostrare a ogni uomo.

Nella logica del mistero dell'Incarnazione, la soli­darietà non è fatta solo di interventi e neppure di solo servizio per gli altri; è stare con, cioè presenza accanto agli altri. È anche saper ricevere, è incoraggiare per­ché gli altri assumano responsabilità di se stessi e attivino le proprie risorse personali; è condivisione di spe­ranze e angosce di gioie e dolori. E il dono del proprio tempo, prima ancora dello scambio di doni concreti.

 

Quanto poi ai diversi ambiti della solidarietà, l'elen­co che segue - lungi dalla pretesa di essere esaustivo -si propone solamente di essere strumento di orienta­mento e di sensibilizzazione, che saprà trovare concre­tezza e puntualizzazione, come si diceva, nel contesto proprio del consiglio pastorale parrocchiale.

Qui la famiglia può ritrovare un momento di rifles­sione e quasi un pro-memoria per assumere in proprio un impegno confacente e contribuire così a promuo­vere e sostenere le attività parrocchiali. La solidarietà sociale comincia dal rispetto della vi­ta, di tutta la vita, dall'inizio alla fine; di ogni vita. Purtroppo occorre registrare che al riguardo, vi so­no delle reticenze anche nel mondo cattolico in merito alle discriminazioni sulle frontiere estreme della vita.

 

Il diritto alla vita non è concesso contrastarlo dall'ar­bitrio di alcuno, in quanto è fondato sul valore assolu­to della persona, indipendentemente dallo stadio in cui si trova e/o dagli apporti che è in grado di offrire. Non vi è chiarezza né trasparenza sulla questione della pianificazione delle nascite e sul senso vero della pater­nità e maternità responsabile. Nell'attuale clima di accentuazione del cosiddetto benessere di coppia, i figli non vanno visti come rivali della felicità e ostacolo alla libertà della coppia, ma co­me gioioso coronamento di un amore che sa abbando­narsi alla Provvidenza del Padre.

 

Appare, pertanto, imprescindibile una autentica for­mazione delle coscienze individuali per un cambiamen­to culturale in ordine alla vita.

La catechesi appassionata di Giovanni Paolo II e la Enciclica Humanae Vitae di Paolo VI debbono trovare leale accoglienza e fedele applicazione sia nell'opera di orientamento e formazione delle coscienze da parte dei presbiteri, sia nella vita dei coniugi. È solidarietà sociale il volontariato vissuto non solo come parentesi, a cui riservare parte del tempo libero, ma abbia le caratteristiche di servizio competente e gratuito. È solidarietà sociale uno stile di vita familiare alter­nativo a quello della società del benessere e dei consu­mi, dell'individualismo e del privatismo.

 

Qualche famiglia ha instaurato, come prassi educati­va, la scelta di mettere da parte - nel risparmio familiare - un piccolo fondo da destinare ai poveri vicini e lontani. Oltre tutto questo è un modo davvero pedagogico ed evangelico di educare i figli al giusto senso del sacrificio. È solidarietà sociale la premura e l'attenzione nei confronti delle diffuse nuove povertà. Eccone alcune:

-         i conflitti coniugali o familiari fino alla separazio­ne o al divorzio, spesso accompagnati da condanne mo­rali da parte della pubblica opinione;

-         le ragazze madri esposte al pericolo della emargi­nazione o della solitudine;

-      i bambini orfani o abbandonati o istituzionalizzati. Non è raro constatare che la crescita psicologica e so­ciale di tali soggetti è precaria e labile. I tratti di insi­curezza sono marcati e forte è la difficoltà di successi­va socializzazione;

-      lo stato di vedovanza sia per gli uomini che per le donne. Soprattutto nei primi tempi dopo la morte del coniuge e quando ci sono figli in giovane età la comu­nità cristiana e le famiglie non possono essere assenti;

-       gli anziani che non possono essere considerati come un problema;

-      ammalati,   handicappati,   disabili.   Nella  cultura odierna, che privilegia l'efficientismo e la produttività e che tende a rimuovere il problema della sofferenza, non si può cadere nell'errore di considerare l'ammala­to come persona a cui riservare una assistenza solo sporadica e consolatoria;

-        la devianza giovanile: tossicodipendenti, ex-car­cerati, sieropositivi...

 

Ciò che pesa di più in ogni disgrazia è il trovarsi soli. Una famiglia veramente presente nel farsi carico di queste e altre istanze sociali non potrà non contribuire a promuovere un efficace rinnovamento della comu­nità parrocchiale in ordine alla missione regale dei bat­tezzati e perciò della Chiesa stessa.

Nella misura del loro amore le famiglie diventano nel loro ambiente e nella comunità lievito che fa fermen­tare la massa, una piccola luce che illumina il territo­rio circostante, sale che da sapore alle vicende umane.

 

CONCLUSIONE

 

 

La comunione è dono dello Spirito. Le mutue rela­zioni che segnano e concretizzano la comunione sono dono della Trinità, modello eccelso della comunione.

Riscoprire, senza mai desistere e stancarsi, la co­munità parrocchiale come famiglia di famiglie e la co­munità familiare come chiesa domestica è mèta e obiet­tivo da chiedere nella preghiera fervida e generosa.

Il sostegno reciproco e la cordialità dei rapporti tra parrocchia e famiglie è impegno che coinvolge tutti nel­la lealtà degli intenti e nel