Coronavirus = più separazioni e divorzi?

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Non sono mai stato attratto dalle statistiche e non ho mai riposto in esse soverchia  fiducia, ma sarebbe  sciocco non dare “una occhiata”, seppur fugace, ai numeri; soprattutto quando i numeri  sono espressione di eventi riscontrabili.
 
Nei giorni scorsi sono rimasto impressionato da quanto riferito dalla stampa italiana. In questi tre mesi  di Covid19 la richiesta di divorzio si è attestata su numeri impressionanti: 60.000 richieste di separazione/divorzio (?).
 
Avevo percepito che qualcosa stava succedendo: infatti in questi mesi ho lavorato molto “in remoto” attraverso video-conferenza prestando la mia opera di psicoterapeuta. Ho registrato, su un fronte, casi di paura di contagiarsi, di ammalarsi, di uscire di casa;  casi di panico, ansia, depressione, disturbi del sonno, l’insonnia primitiva ossia quella non legata ad alcuna patologia.
E sull’altro fronte, casi di disagio coniugale e familiare. Mi ero persuaso che questa sintomatologia non sarebbe rientrata facilmente neppure quando si fosse allentata la morsa delle prescrizioni sanitarie e interpersonali da seguire. Nella fase di crisi del Covid19, va da sé, è stata riservata somma importanza e attenzione alla salute fisica.  Ora, senza voler essere profeta di sventura, sul piano clinico, la dimensione psicologica tenderà a diventare l’emergenza principale.
 
Sul fronte strettamente coniugale proprio la convivenza forzataa cui nessuno era abituato, spesso in uno spazio ristretto e con bambini, senza un attimo di pausa, ha procurato stress psicologico e fisico, disagi, incomprensioni, litigi, addirittura violenze domestiche derivanti dal trovarsi costretti a vivere per settimane fianco a fianco.
Nel caso contrario anche  l’aver dovuto affrontare per mesi la relazione a distanza può sortire gli analighi effetti a livello coniugale. 
Prima della pandemia la vita scorreva in modo assolutamente differente. Suonava la sveglia a un’ora precisa per papà, mamma e figli. Tutti erano sul piede di partenza chi per il lavoro, chi per la scuola. In molte famiglie non si rientrava neppure per il pranzo: suppliva la mensa scolastica o la mensa aziendale. La sera ci si ritrovava per la cena, un po’ di TV e si andava a dormire. Insomma il tempo per confrontarsi era relativamente scarso anche per impiegarlo in troppe “incomprensioni” e “litigi”.
 
Non v’è dubbio che la convivenza forzata dovuta alla quarantena domiciliare ha messo in crisi davvero tanti e per motivi differenti, tra cui ha fatto emergere in maniera molto forte in molte coppie tutti gli attriti latenti. Infatti, vivere sotto lo stesso tetto con il proprio partner 24 ore su 24, tutti i giorni, per tutto il giorno, per tanti giorni e settimane ha intensificato incomprensioni e malintesi, portando a galla circostanze che prima sembravano sconosciute, o almeno sopite.
 
Occorrerà, tuttavia, essere assolutamente riflessivi e cauti. Ammettere che un matrimonio sia al capolinea è indubbiamente doloroso: a livello personale significa ammettere un fallimento. Per  questo è importante, prima di prendere una decisione così delicata, capire se la crisi di coppia sia davvero irreparabile o, si tratti, invece di un periodo di difficoltà, pur seria, ma transitoria.
 
In ogni matrimonio così come in ogni rapporto interpersonale  ci sono momenti/periodi caratterizzati da alti e bassi: da momenti felici e da altri più complessi o complicati. Per questo è importante analizzare la situazione anche con l’aiuto di qualcuno e comprendere se si tratti di un periodo difficile, o di una vera frattura nella coppia. Molto spesso è sufficiente scambiare una parola con un amico fidato; altre volte potrà essere necessario confrontarsi e farsi aiutare da un professionista. Ma, per favore: siamo attenti, accorti, prudenti, riflessivi prima di mandare per aria l’investimento affettivo, emotivo, generativo di una vita.

Sul piano giurisprudenziale è davvero preoccupante che il Consiglio Nazionale Forense (Cnf) abbia acconsentito proprio recentemente al fatto che le coppie che richiedono la separazione consensuale possano farlo ora anche via mail. Non mi pare si possa banalizzare “elettronicamente” un gesto con cui porre fine al coinvolgimento di una vita, soprattutto se il consenso matrimoniale sia stato celebrato con un sacramento. Forse merita mettere a fuoco il contesto che ruota attorno al matrimonio. Ma pare proprio che così vada il mondo ....  Il Censis, Centro Studi Investimenti Sociali, che è un Istituto di ricerca socio-economica fondato nel 1964, ha già anticipato che nel 2031 non sarà più celebrato un solo matrimonio nelle nostre chiese. Il motivo? Secondo la poderosa indagine statistica intitolata “Non mi sposo”, le nozze non sono più il “baricentro della vita”. I matrimoni sono sorpassati e in via di estinzione. Né garanzia d’amore, né di famiglia felice. Sposarsi non servirà più a niente: i figli nati dentro e fuori dal matrimonio sono tutti legittimi allo stesso modo e l’equiparazione tra coppie sposate e coppie di fatto è ormai qualcosa di acquisito. (Chiusa la parentesi).
 
Tornando al nostro argomento, il periodo del confinamento sociale è stato certamente un periodo straordinario e prima di procedere legalmente a separarsi sarebbe bene concedersi ancora un gesto di rispetto, nel nome di un amore vissuto, e attendere il ritorno alla normalità.
Non va dimenticato che tendenzialmente il cervello umano non riesce a percepire obiettivamente le opportunità quando vive un pericolo, quindi meglio affrontare questioni importanti ed esistenziali in momenti in cui le cose ritorneranno nell’alveo della cosiddetta normalità.
 
Nel frattempo sarà utile e importante una salutare tregua cercando di ovviare/limitare/sospendere:
il continuo litigio;
la critica vicendevole;
l’attribuirsi reciproche colpe;
l’addossare al partner responsabilità che, forse, non ha;
il mentire frequente;  
la rinuncia a cercarsi e stare insieme.

Che vinca l'amore!
Se poi proprio sarà impossibile  ... vinca ancora l'amore, che saprà trasformarsi in rispetto vicendevole e in rapporti di assoluta civiltà. 


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