8000 parroci in meno in Italia

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È questo il titolo sbirciato fugacemente sulla pagina di un quotidiano che stava leggendo sull’autobus un passeggero che mi stava accanto. La notizia poi è rimbalzata sul web. È nota la precarietà numerica dei sacerdoti nelle nostre parrocchie, ma quando lo sguardo incrocia una notizia scritta su un giornale colpisce la mente e il cuore.  Purtroppo è così! Lo dicono i numeri forniti dalla Conferenza episcopale italiana: nelle 224 diocesi italiane le parrocchie sono 25.610, mentre i parroci 16.905. Il bilancio è un meno 8.705. Per amore di verità va detto che ci sono altre cifre di cui tenere conto: i sacerdoti – secolari, ossia diocesani, e religiosi appartenenti a famiglie religiose – sono infatti quasi 35mila, di cui, nel 2016, 31.728 attivi, mentre 3.082 sono non operativi per motivi di età o di salute.  
 
Piccole e medie parrocchie senza sacerdote, sacerdoti in età avanzata, scarsissime le ordinazioni di nuovi sacerdoti. Sono questi gli elementi che rimbalzano nelle curie e tolgono il sonno a molti pastori. La soluzione è quella di affidare più parrocchie alla cura pastorale di un solo parroco e altri sacerdoti collaboratori. Ma resta il fattore pastorale. Non si possono, infatti, cancellare per decreto mille e più anni di storia di tante realtà e identità parrocchiali. La nuova figura è quella delle unità pastorali che i vescovi un po’ dovunque stanno facendo. Che questo sia un tentativo di fermare un fiume in piena con una diga di carta velina, questo lo dirà il tempo. Per ora si va avanti come si può! Certo che 8000 parroci in meno per le 27.500 parrocchie italiane non è un numero indifferente.
 
Per fortuna ci sono i sacerdoti che hanno compiuto i 75 anni e che avendo affidato le dimissioni da parroco al proprio Vescovo, restano tuttavia disponibili per celebrare la santa messa anche in quelle parrocchie ufficialmente sprovviste del parroco. Si tratta di coordinare bene le forze esistenti, e fin quando sarà possibile, anche con l’aiuto dei religiosi e dei sacerdoti anziani, si dovrà assicurare anche nei giorni feriali la celebrazione eucaristica almeno in alcuni giorni della settimana. Certamente il fenomeno del calo delle vocazioni sacerdotali e religiose è drammatico. Nelle migliori delle ipotesi in una diocesi media d’Italia muoiono 7/8 preti all’anno e quando va bene le ordinazioni si contano su pochissime dita della mano.
 
A dare una mano alla scarsità di preti in Italia vi sono quelli che ormai vengono chiamati i “missionari alla rovescia”, che lasciano il Terzo mondo e vengono a rievangelizzare la vecchia Italia scristianizzata. Immigrati in tonaca che ieri hanno conosciuto la fede cattolica grazie a schiere di sacerdoti partiti dall'Occidente, oggi s'incaricano di ripopolare parrocchie e oratori. Sono indiani, congolesi, nigeriani, filippini, polacchi, romeni, sudamericani: le origini sono disparate, Paesi lontani minati da guerre e povertà come nazioni di antica fede che sovrabbondano di consacrati. Sono giovani dei preti ben preparati, anche perché molti decidono di fermarsi in Italia dopo esservi giunti per studiare nelle università pontificie. A carico dell'Istituto centrale per il sostentamento del clero erano 1.780 nel 2005 e 2.260 al 1° maggio 2010. In cinque anni il loro numero è salito di quasi il 30 per cento e al 31 dicembre scorso è ulteriormente lievitato a 2.496: una crescita più contenuta che dimostra il consolidarsi del fenomeno.
 
Questo contesto non può non porre all’attenzione delle nostre Chiesa la pastorale vocazionale. I nostri seminari sono pressoché vuoti. Il calo di vocazioni deve interrogare la Chiesa. C'è poca fantasia, insufficiente volontà di recepire e tradurre in atto le volontà del Vaticano II. Al contrario la Chiesa sembra difendersi dalle intuizioni profetiche del Vaticano II, sembra quasi averne paura.
E questo ovviamente richiama l’educazione alla fede e in specie quella delle giovani generazioni. Che ne è della fede nei cristiani di oggi? Perché tanta indifferenza? Cosa possiamo e dobbiamo fare per operare nella direzione giusta? O il cristianesimo dei nostri giorni riesce a riprendere un contatto vivo con l'esperienza, a intercettare la comunità e a verificare con lei i percorsi da seguire, o rischia di soccombere se pensa che la fede sia pura teoria.

Per arginare questo pericolo sono convinto che sia indispensabile rilanciare una catechesi liturgica che diventi davvero la vera regola cristiana. La catechesi liturgica sembra essere ormai l’unica forma di catechesi nelle nostre comunità parrocchiali. Non mi riferisco al rito come meccanicistica sequenza di gesti, che resta incomprensibile. Ma liturgia come consapevolezza. E per far questo ci vuole un clero preparato e un popolo di Dio consapevole. Si pensi al mistero dell'Eucarestia, ad esempio: ci crediamo sì o no che Gesù è lì? Siamo convinti sì o no che è venuto per incontrarci, che è tra noi e che ci invita ad imitarlo? Occorre coinvolgere la nostra gente a questa catechesi per avere famiglie cristiane, giovani cristiani che potrebbero considerare anche la vocazione al sacerdozio.
 
Una tale situazione ecclesiale dovrà essere affrontata dalle rispettive Conferenze Episcopali. Ma quello che sempre più sta prendendo corpo tra i teologi pastoralisti è il coinvolgimento dei laici e la prospettiva dei coordinatori pastorali, figura prevista anche dal Codice di Diritto Canonico.
Essi assumeranno sempre più la funzione di direzione della vita e della testimonianza delle comunità interessate, coordinando l’impegno e il servizio ecclesiale dei laici volontari e degli operatori pastorali: catechisti, animatori della liturgia, dei gruppi giovanili, della carità, ecc.
 
Tutto questo impegna i fratelli laici battezzati a essere generosi e dichiararsi disponibili per quei servizi ecclesiali che debbono essere assicurati a una comunità parrocchiale senza sacerdote per non farla morire cristianamente.
Occorrerà loro un minimo di preparazione, ma dovranno affidarsi con coraggio alla azione dello Spirito Santo per il bene delle comunità parrocchiale che sempre più – fatalmente – saranno senza un sacerdote stabile.