domenica VI per annum
Il Vangelo è chiamata alla felicità

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Dal Vangelo secondo Luca 6,17-26
 In quel tempo, Gesù, disceso con i Dodici, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidòne.
Ed egli, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva:
«Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio.
Beati voi, che ora avete fame, perché sarete saziati.
Beati voi, che ora piangete, perché riderete.
Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti.
Ma guai a voi, ricchi, perché avete già ricevuto la vostra consolazione.
Guai a voi, che ora siete sazi, perché avrete fame.
Guai a voi, che ora ridete, perché sarete nel dolore e piangerete.
Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi.
Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti».

Gesù non disponeva di potere politico o religioso per trasformare la situazione ingiusta che sopportava e soffriva il popolo. Aveva solo la forza della sua parola. Gli evangelisti riferiscono nei loro scritti il grido che Gesù elevava in varie situazioni mentre percorreva i villaggi della Galilea.

Le beatitudini furono conservate per sempre nel cuore dei suoi seguaci. Queste beatitudini non sono un invito a un ingenuo ottimismo o  a una facile felicità, ma una chiamata a vivere da beati, nella pazienza e nella gioia della speranza benché abitando la sofferenza.
Gesù si trovava con persone povere che non potevano difendere la loro terra dai potenti proprietari terrieri e diceva loro: «Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio».

Vedeva la fame di donne e bambini malnutriti che non poteva essere repressa e diceva loro: «Beati voi, che ora avete fame, perché sarete saziati».
Vedeva lacrime di impotenza per i contadini, quando vedevano che altri ottenevano il meglio dei loro raccolti e li incoraggiava: «Beati voi, che ora piangete, perché riderete».

Era, forse, una presa in giro? O, forse, cinismo? Lo sarebbe stato se Gesù avesse parlato loro da un palazzo di Tiberiade o da una città di Gerusalemme; ma Gesù è con loro. Non possedeva danaro, camminava a piedi nudi, non aveva una tunica di riserva. Era, anche lui un senzatetto che parlava con fede e totale convinzione.
 
Gesù era realistico. Sapeva benissimo che le sue parole non avrebbero posto fine alla fame e alla miseria dei poveri. Ma il mondo doveva sapere che i poveri sono figli amati di Dio, e questo conferisce alla loro dignità una assoluta serietà.

Cari Amici
Abbiamo tutti un'insaziabile brama di felicità nel nostro io più profondo. Ovunque incontriamo una persona, possiamo essere sicuri che siamo di fronte a qualcuno che aspira esattamente a quello che bramiamo noi: la felicità! Anche se quando ci viene domandato che cosa sia la felicità e come trovarla non sappiamo dare una risposta molto convincente. La felicità è sempre qualcosa che manca; qualcosa che non possediamo completamente.
 
Per questo il semplice ascolto delle Beatitudini provoca un'eco speciale nella persona. Da un lato, il tono fortemente paradossale e il loro contenuto pieno di contrasti producono in noi una certa confusione. D'altro lato, la promessa che contengono attrae, poiché offrono una risposta a quella sete che nasce nella parte più profonda del nostro essere. Ossia la speranza che, un giorno, la felicità penetri nel nostro cuore in modo indelebile.
 
I cristiani dimenticano spesso che il Vangelo è una chiamata alla felicità. E che essere cristiani è sentirsi chiamati a essere felici e scoprire in Gesù il vero cammino della felicità. Infatti non tutte le strade conducono alla felicità. E proprio su questo terreno incontriamo la sfida di Gesù di Nazareth. La vera felicità si ottiene attraverso percorsi completamente differenti da quelli offerti dalla società di oggi.

Secondo Gesù, è meglio dare che ricevere, è meglio servire che essere serviti, condividere che accumulare, perdonare piuttosto che vendicarsi.

E in fondo, quando uno cerca di ascoltare sinceramente il meglio che c'è nel profondo del proprio essere, comprende che Gesù ha proprio ragione. E percepisce il bisogno di gridare anche oggi le beatitudini che il Maestro ha proclamato:
Felici quelli che sanno essere poveri e condividono quel poco che hanno con i loro fratelli.

Ma guai a quelli che si preoccupano solo delle loro ricchezze e dei loro interessi.

Felici quelli che conoscono la fame e che hanno bisogno perché non vogliono sfruttare, opprimere e calpestare gli altri. Ma guai a chi è capace di vivere sereno e soddisfatto, senza preoccuparsi dei bisognosi.
Felici quelli che piangono le ingiustizie, le morti, le torture, gli abusi e le sofferenze dei deboli.

Ma guai a quelli che ridono del dolore degli altri e si rallegrano della morte di un fratello.

E'
«la follia di Dio che è più sapiente degli uomini e la debolezza di Dio è più forte degli uomini» (1 Cor 1,25). 
I poveri, gli affamati e coloro che piangono non sono proclamati beati per la condizione in cui versavano, ma perché Dio è all’opera per dare loro il suo regno e rovesciare la loro condizione per renderli felici.

Va aggiunto, per amore di chiarezza,  che i ricchi, i sazi e coloro che ridono non erano nei guai per la condizione in cui versano, ma perché, sposando la ricchezza per essere sazi e gaudenti, si collocavano fuori dalla sfera d’azione di Dio.
 
Chiediamo al Signore che aumenti la nostra fede poiché per attuare davvero le beatitudini, che sono la Magna Carta del Cristianesimo, occorre tanta fede, per essere capaci di abbandonarci nelle mani del Padre, che tutto può e può donarci la vera felicità.
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