11 ottobre 1962
iniziava il Concilio Vaticano II: carisma e profezia

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Con la cerimonia solenne e grandiosa dell'11 ottobre 1962 si è aperto uno dei più importanti avvenimenti del secolo scorso presso il sepolcro del Beato Pietro nel giorno in cui — allo­ra — il calendario faceva memoria della divina maternità di Ma­ria. Si inaugurò dopo tre anni di preparazione e di preghiera. Infatti il 17 maggio 1959, festa di Pentecoste, venne costituita dal Papa Giovanni XXIII la Commissione ante-preparatoria, presie­duta dal cardinale Domenico Tardini, Segretario di Stato.

In una allocuzione radiofonica del 27 aprile 1959 il Papa invi­tò i cattolici dell'Orbe a pregare e a fare penitenza per il buon esito del Concilio.
Il secondo periodo della preparazione del Vaticano II ebbe inizio il 5 giugno 1960, ancora festa di Pentecoste, con la pro­mulgazione del motu proprio Superno Dei Nutu. Sulla base dei dati, forniti dalla precedente consultazione, occorreva procedere alla redazione degli schemi per gli argomenti che il Papa intende­va sottoporre al Concilio.
 
Lo svolgimento dei lavori del Vaticano II rappresentò un suc­cesso unico riguardo a una influenza più estesa della Chiesa Cat­tolica Romana e riguardo alla sua posizione resa senza dubbio più eminente nel mondo.

Mai un'assemblea ecclesiastica — soprattutto di una tale im­portanza numerica ancora mai vista (2.540 membri, rispetto ai 750 del Vaticano I e ai 258 del Concilio di Trento) — ha dato prova di una tale autocritica; mai si è dedicata a un tale sforzo di riorganizzazione. I lavori del Concilio, la proclamazione ufficia­le fatta dal Papa delle decisioni conciliari, votate tutte con una quasi unanimità, costituiscono oramai l'insegnamento ufficiale e rinnovato della Chiesa Cattolica.

Allorché Giovanni XXIII, il 25 gennaio 1959 nella Basilica di San Paolo fuori le Mura, preannunciò la grande Assemblea — fu, com'è noto, nei primi mesi del suo pontificato — l'impressio­ne nel mondo fu grande e profonda: un carisma di profezia, fu scritto.

In realtà pochi erano quelli che compresero il significato vero e profondo della decisione storica del Papa. Ma l'emozione che l'annuncio suscitò fu la conferma delle attese e delle spe­ranze, spesso indistinte, ma universali che vi erano nell'umanità per l'azione della Chiesa, quelle medesime speranze che il Papa, nel suo anelito pastorale, aveva già intuito e che gli avevano ispi­rato, in definitiva, la risoluzione di convocare i Vescovi del mon­do cattolico.

Qualcosa di simile era già accaduto poco meno di un secolo prima ai tempi del Vaticano I.
Il primo annuncio del XX Concilio ecumenico fu dato da Pio IX il 29 giugno 1867, in occasione del centenario di San Pietro: il potere temporale era stato già gravemente menomato e quanto ne restava appariva seriamente scosso. Parve, specialmen­te in Italia, che il Papa tentasse di mobilitare il mondo cattolico a difesa dello Stato romano; vivaci reazioni si ebbero al parlamento di Firenze.

Nel mondo cattolico si manifestarono appren­sioni e timori che nel sinodo imminente si confermasse e pren­desse forma dogmatica la supremazia del Papa a detrimento non solo dell'autorità dei vescovi, ma della stessa autonomia degli Sta­ti. La preoccupazione politica fece velo alla retta comprensione del grande evento.


Quando fu annunciato il Vaticano II le condizioni esterne erano di molto cambiate e nessuno poteva aver motivi o pretesti d'ordine temporale per manifestare preoccupazioni o timori ana­loghi a quelli del 1867.
Tuttavia — narrano le cronache — non mancarono taluni movimenti e gruppi, espressione di concezioni laiciste del mondo e della vita, che presentarono il Concilio o come l'effetto di una pressione di base sulla Gerarchia, o come una conseguenza del­l'evoluzione storica, che non lasciava immune neppure la Chiesa cattolica.

Tali furono le pregiudiziali che ispirarono anche una parte della stampa e dell'opinione pubblica nelle sue valutazioni del Concilio, inducendola a ricercare, nei lavori di preparazione e in quelli dei quattro periodi, quanto poteva sembrar utile a con­fermare tesi preconcette. In sostanza, la Chiesa venne considerata molto spesso in una dimensione unicamente terrena, storica, a di­scapito del suo carattere soprannaturale.

Derivò da questo atteg­giamento la tendenza a sensibilizzare le discussioni e gli atti con­ciliari più immediatamente collegati alla realtà presente, come lo schema sulla Chiesa nel mondo contemporaneo e l'altro sulla li­bertà religiosa o, ancora, talune questioni che più da vicino toc­cano il senso comune o l'interesse o il costume: ad esempio la li­mitazione delle nascite, la morale del matrimonio.
 
Anche il valore di documenti fondamentali non fu sempre compreso.
 
Così, per esempio, la Costituzione dogmatica Lumen Gentium sulla Chiesa: un documento che, in se stesso, implica una nuova configurazione dell'ecclesiologia, quindi della stessa pastorale; forse un tipo nuovo di rapporto col mondo. La stessa Costituzione liturgica fu più considerata sotto l'aspetto delle innovazioni che introduceva che sotto l'altro, sostanziale, della partecipazione con­sapevole del popolo cristiano, del richiamo catechistico che deriva da una lex orandi più accessibile ed esplicita.
 
Il presupposto politico, più o meno latente, indusse a guarda­re alle congregazioni conciliari come ai dibattiti di un parlamen­to. Se non, come pure è avvenuto, di un'assemblea costituente. I Padri vennero catalogati e divisi in gruppi distinti e contrapposti; si volle identificare una destra e una sinistra, si andò a scrutare tra le pieghe degli interventi, vennero sottolineate interruzioni ve­re o presunte, si cercò, insomma, un dramma laddove non era che volontà unanime di bene, amore della verità, slancio a Dio.

Le diverse posizioni emerse nel Concilio sui problemi volta a vol­ta presi in esame, approfonditi, discussi, erano altrettante facce di uno stesso sentimento: l'assenso o il dissenso, lealmente e franca­mente manifestati con la parola e col voto, furono testimonianze che, davanti a Dio, avevano lo stesso valore e che alla fine ven­nero a coincidere, per questo impulso soprannaturale, in una quasi unanimità sui problemi di fondo.


Ma la Provvidenza, che aveva voluto il Concilio, lo condusse a termine —  pur nel travaglio di discussioni spesso assai vivaci e contrastanti idee e opinioni —  nel modo più felice. Le diversità hanno giovato all'unità, perché unità e differenze vengono da Dio.

La molteplicità delle culture, delle ideologie, delle opinioni, delle correnti di progresso [non si dimentichi mai che hanno lavo­rato insieme 2540 Padri provenienti da tutto il mondo!] hanno — alla fine —  costruito una mirabile osmosi e una stupenda e sor­prendente coralità. Giovanni XXIII — ricorda il segretario gene­rale del Concilio, mons. Pericle Felici — aveva detto con voce ferma e con lo sguardo proteso verso l'avvenire: « II Concilio riu­scirà! ». E il Concilio è riuscito.
 
Il Concilio continua. Sì, il Concilio continua perché esso è stato ed è una pietra miliare nella storia della Chiesa e nella teologia della storia. Nessuno storico, degno di questo nome, po­trà mai ignorarlo. In realtà il Concilio continua la sua opera di rinnovamento e di riforma. Costituzioni, Decreti, Dichiarazioni fanno parte del patrimonio della Chiesa.
 
La Chiesa è uscita dal Concilio con un volto più giovane e un passo più spedito. La ricerca di una autenticità cristiana, che è stata la continua preoccupazione pastorale ed ecumenica dei Padri conciliari, ha offerto alla Chiesa un nuovo splendore. Essa si rivolge — soprattutto da allora — al mondo più libera, più ricca interiormente, più conforme ai suoi valori istituzionali.

Decreti come quelli sulla libertà religiosa e sull'ecumenismo rivelano una attitudine di aggiornamento pastorale. La Costituzio­ne sulla liturgia, che fu il primo documento che ha trovato im­mediata e facile applicazione, ha introdotto l'uso della lingua par­lata, ha fatto scoprire l'importanza restituita alla liturgia della pa­rola come alimento della vita di fede, la rivalutazione dell'assem­blea cristiana come comunità orante presieduta dal sacerdote che la rappresenta e la interpreta dinanzi a Dio. Allo stesso modo le Costituzioni sulla Chiesa e sulla Rivelazione mostrano un appro­fondimento biblico e teologico.


Sono, queste, applicazioni conciliari oramai visibili a tutti e che non hanno tardato a recare felici conseguenze nella cono­scenza e nella pratica della religione, anche se — come disse il teologo Yves Congar, creato poi cardinale — «i Concili non svi­luppano la loro azione che con il tempo. Ci vorranno cinquant’anni per poter cominciare ad apprezzare bene il Vaticano II.  È troppo tar­di per gli uomini incalzati come siamo noi, ma è la misura della storia».

Vi è nella Chiesa una sublimità e una profondità, una latitu­dine e una longitudine associate insieme, e insieme sempre perenni che i Documenti conciliari hanno messo nella loro concor­de evidenza.

Pensando al periodo postconciliare, alla Chiesa rinnovata, ci soccorre l'immagine del Signore viandante sulla strada che da Gerusalemme porta a Emmaus. La Chiesa è anch'essa pellegrina incontro ai dubbi e ai turbamenti dell'uomo contemporaneo. La Costituzione pastorale sulla presenza della Chiesa nel mondo d'oggi appare come un dialogo dell'eterno con il tempo e del tempo con l'eterno; apre la possibilità di incontri, di collaborazio­ni che possano portare alla Salvezza della quale la Chiesa è cu­stode e missionaria.

All'interno stesso della cristianità vie di comprensione sono dischiuse nella ricerca ansiosa di una reintegrazione nell'unità del­la fede. Questa disposizione della Chiesa verso l'unità nella valutazione di elementi complementari nella problematica dei suoi teologi per un positivo aggiornamento pastorale, di elementi co­muni religiosi nella sua ansia ecumenica, di elementi comuni na­turali nel suo apostolato missionario tra i non cristiani, e infine sollecitudine verso i non credenti, è senza dubbio l'aspetto conci­liare che ha incontrato maggior rispondenza nel mondo.

Il Vati­cano II ha così permesso di scoprire la Chiesa all'interno, nella sua universale maternità. Il Concilio si è rivelato un « atto di amore » e quindi di fedeltà della Chiesa verso il Cristo e verso il mondo. Non pochi pregiudizi ed equivoci si sono dissolti e anco­ra si stanno dissolvendo. Il Concilio è stato veramente un dono dello Spirito di verità e di carità, un dono di riconciliazione.

È in atto una distensione degli animi, una attenzione sempre più viva e aperta alla missione spirituale della Chiesa. Ciò è frutto di una « nuova psicologia » sollecita a cogliere in tutti un fondo co­mune dispositivo al messaggio cristiano e alla sua opera salvifica.

Con particolare sensibilità sono state seguite le discussioni e quindi i loro risultati circa i termini dialettici che animano i rap­porti tra unità e diversità, tradizione e progresso, autorità e libertà, dottrina teologica e linguaggio pastorale.

Uguale sensibilità si è avuta nel rilevare il realismo soprannaturale che ha sempre ca­ratterizzato l'ottimismo dei Padri nella ricerca di ciò che unisce piuttosto di quello che può dividere, senza alcuna minorazione della verità divina e con un sincero spirito di incarnazione di ogni legittimo e positivo valore umano.

Si è pure compreso lo sforzo del Concilio volto verso ogni genuina riforma nello spogliamento di sovrastrutture, nella eliminazione di elementi acces-sori in favore dell'essenziale e quindi nella graduale trasformazio­ne e riforma di istituti e organi tradizionali che consentano alla Chiesa di essere riguardata nella sua autentica originalità.


Il riconoscimento di una sana e giusta laicità delle realtà ter­restri si unisce all'affermazione dell'apostolato laicale nella identifi­cazione tra vocazione cristiana e vocazione all'apostolato, nell'indicare la secolarità come « indole propria e peculiare » dei laici e quindi dell'animazione e ordinazione dei valori temporali al Cri­sto mediante il laicato. Si tratta di una serie di approfondimenti e di integrazioni in un'ampia ed ecumenica visione ecclesiologica incentrata sul Cristo: a Cristo vivo risponda la Chiesa viva.

Un simile rinnovamento riporta costantemente alla Rivelazione, co­me all'anagrafe insostituibile d'ogni aggiornamento cristiano, all'esempio del Signore, e quindi a una prassi liturgica nella quale la Salvezza ha la sua efficace perennità. Il Concilio ci permette di muoverci e respirare in una Chiesa antica e sempre nuova, «semper reformanda» per una più fedele conformità al Cristo e un più proficuo apostolato missionario.

La Chiesa si è rivolta verso il mondo con ospitalità evangelica, e il mondo ha compreso questa attitudine divina e umana, intenta a offrire un soccorso li­beratore e reintegratore alla sua inefficienza morale e religiosa.
 
Si sono sottolineate e, forse, si sottolineano ancora non poche difficoltà, ma di queste difficoltà la Chiesa è cosciente e provvede mediante organi del suo magistero a una esatta interpretazione sulla natura e sull'estensione degli enunciati conciliari. Vi provve­de, per evitare ogni abuso esegetico, perché ogni decisione sia applicata nel giusto senso e nella giusta misura, in quel senso e in quella misura che rispondono al vero pensiero dei Padri.

Il Concilio così continua. Continua come una grazia straordinaria concessa da Dio alla sua Chiesa, come un arricchimento del pa­trimonio della fede nell'aggiornamento ai « segni dei tempi » che la Chiesa ha la missione di valutare senza tuttavia che ciò signifi­chi abbandono o mutamento alcuno delle realtà divine che la rendono, come il Cristo e con il Cristo, sempre contemporanea: « Sarò con voi, sempre », simile in questo allo scriba dotto, di cui parla il Vangelo, che trae de thesauro suo nova et vetera.
 
Non vi è infatti una Chiesa ante o post conciliare, ma una medesima e identica Chiesa di Cristo in continua riforma, in continuo rinnovamento, sotto la guida di Colui al quale il Signore ha trasmesso la consegna di guidarla, insieme ai vescovi collegial­mente uniti, nel suo pellegrinaggio terrestre in tutte le stagioni del tempo, in tutte le forme di vita e di cultura.
 
Caratteristica del Vaticano II è di essere stato più un rinno­vamento di spirito che una formulazione di canoni. I sedici do­cumenti conciliari passeranno alla storia per il fuoco che accen­dono più che per le poche prescrizioni pratiche che contengono.

Si è sprigionato un vento pentecostale che ha spalancato porte e finestre, che ha ravvivato ogni stagnante atmosfera, che ha abbat­tuto muraglie anguste e angustianti, che ha sospinto la Chiesa verso l'avvenire, incontro a Cristo che ritorna.
 

 

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